Il raider francese aveva messo in atto la stessa tattica quando era azionista di Bouygues. Primi incontri tra i soci di Piazzetta Cuccia sul nuovo patto attorno al 40%. Della Valle, Ferrero e Gavio potrebbero salire 
di Andrea Di Biase

Doveva essere l’occasione per un chiarimento sul ruolo svolto dal management di Mediobanca nello scontro sulle Generali che ha portato alle dimissioni di Cesare Geronzi e alla sua sostituzione alla presidenza con Gabriele Galateri (cooptato in cda la settimana scorsa, ma la cui nomina, per ragioni tecniche, sarà ratificata dall’assemblea solo nel 2012).


Invece il cda di Piazzetta Cuccia, riunitosi ieri, così come il comitato esecutivo, non ha affrontato alcuna discussione sulla compagnia triestina. Le attese della vigilia lasciavano intravedere la possibilità che alcuni consiglieri della banca legati al mondo Fininvest e a Silvio Berlusconi, e dunque considerati vicini anche a Geronzi, come la figlia del premier, Marina, il patron di Mediolanum, Ennio Doris, ma anche il finanziere francese Vincent Bolloré (che è anche vicepresidente del Leone), potessero chiedere all’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, qualche delucidazione sul ruolo ricoperto da Piazzetta Cuccia nell’uscita del banchiere romano dalla compagnia.


Lo stesso Nagel si sarebbe anche preparato a dovere per affrontare nel migliore dei modi le eventuali richieste di chiarimento dei consiglieri. Invece, pur di fronte alla disponibilità manifestata dallo stesso ad, nessuno dei presenti, compreso l’ex presidente del Leone, Antoine Bernheim, collegato in video-conferenza, ha ritenuto opportuno chiedere spiegazioni, come confermato dallo stesso Bolloré lasciando Piazzetta Cuccia. Mentre Tarak Ben Ammar ha bollato come «un thriller politico che non esiste» le ricostruzioni di stampa secondo cui Berlusconi si sarebbe irritato per non essere stato informato per tempo di quanto stava accadendo alle Generali, con la possibile sfiducia a Geronzi, poi risolta con le dimissioni del banchiere. Dichiarazioni che in ambienti vicini al management di Mediobanca sono state lette come un segnale distensivo di Bolloré e dei suoi alleati, anche in vista della prossima scadenza del patto di sindacato della banca d’affari.

Nonostante Ben Ammar abbia rimandato a dopo l’estate qualsiasi riflessione sui nuovi assetti in Mediobanca, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, le riflessioni tra i soci pattisti sarebbero già cominciate. Una riunione informale, cui avrebbero partecipato anche i rappresentanti dei soci più piccoli, ci sarebbe stata nei giorni scorsi e un nuovo incontro dovrebbe tenersi a breve. L’obiettivo sarebbe ridisegnare completamente il patto, sia sotto il profilo della sua composizione e della quota di capitale sindacata, sia sotto quello del suo funzionamento, snellendo in parte anche la governance della banca d’affari, che prevede comitati, come quello nomine, disegnati appositamente per tenere conto della diverse anime della banca (soci bancari, industriali, esteri e il management).

Lo schema su cui si starebbe lavorando prevederebbe una riduzione della quota sindacata dall’attuale 44,34% a una di poco inferiore al 40% (non dunque il 30% come era stato ventilato nei giorni scorsi). La novità più grande dovrebbe essere però la futura composizione del patto, che potrebbe essere completamente diversa rispetto a quella attuale. Se infatti Unicredit dovrebbe rimanere l’azionista bancario di riferimento con l’8,66% accanto a Mediolanum con il 3,38%, è data come plausibile l’uscita di Sal Oppenheim (Deutsche Bank) e di Commerzbank, entrambe con l’1,7%. Completamente rivoluzionata dovrebbe essere invece la platea dei soci privati. Di fronte all’uscita dal patto di alcuni gruppi familiari con quote da prefisso telefonico, ce ne sarebbero altri che avrebbero già manifestato la propria disponibilità a crescere fino all’1-2%. Tra questi ci potrebbero essere Diego Della Valle, grande alleato di Mediobanca nella battaglia di Trieste, che attualmente detiene lo 0,48% della banca, la famiglia Gavio, la cui quota sindacata è attualmente pari allo 0,08%, e il gruppo Ferrero, che partecipa all’accordo con lo 0,6%.

E i soci esteri? Quasi certamente il Banco Santander, azionista di Mediobanca con l’1,84% attraverso la holding Santusa, sarebbe intenzionato a uscire dal patto. La partecipazione in Piazzetta Cuccia era stata infatti acquistata nel 2003 per puntellare la strategia di Bolloré in Italia ma soprattutto per sostenere Antoine Bernheim, da sempre legato a Emilio Botin, alla presidenza delle Generali. Ora che il legame tra Bolloré e Bernheim si è definitivamente spezzato, il Santander non sembra avere più interessi nella galassia Mediobanca-Generali, come testimonia anche l’uscita di Ana Botin dal cda del Leone. Resta da capire che cosa faranno Bolloré e Groupama. Ieri Bolloré, oltre a negare il fatto che i soci di Mediobanca stiano ragionando su una possibile revisione dell’accordo, ha prima affermato che un patto più leggero non sarebbe nell’interesse di nessuno, poi ha sottolineato che non gli risultano soci interessati a uscire dal sindacato e infine ha fatto sapere di non voler vendere la propria partecipazione in Piazzetta Cuccia. «Abbiamo tutti i motivi per rimanere per molti e molti anni, almeno fino al 2022, quando mi dimetterò e lascerò l’azienda ai miei figli. Allora loro decideranno, ma fino al 17 febbraio 2022 staremo qua». Dichiarazioni che sul mercato sono state lette come un modo per alzare il prezzo di una sua eventuale uscita, secondo un copione recitato già nel 1998 quando era azionista del gruppo francese Bouygues. (riproduzione riservata)