«Ritengo che non sia opportuno ipotizzare forme di compensazione tra le vecchie e le nuove generazioni laddove si siano determinate evidenti e rilevanti mancanze di equità intergenerazionale». È di questo avviso Massimo Angrisani, docente di tecnica attuariale per la previdenza presso l’università La Sapienza, che in questa intervista spiega il perché. Domanda. A distanza di 15 anni dalla privatizzazione, come vede oggi il futuro delle casse di vecchia generazione? Hanno fatto riforme sufficienti per garantire ai giovani la pensione? Risposta. La situazione delle Casse di vecchia generazione, è piuttosto articolata: si va da Casse che hanno effettuato riforme importanti, per le quali è oggi necessaria un’attività di «manutenzione», a Casse che non hanno effettuato cambiamenti significativi dei loro sistemi pensionistici e che quindi sono ampiamente «esposte» al rischio di «default». È da sottolineare che per quest’ultime il tardivo aggiustamento del sistema pensionistico comporterà ben più pesanti penalizzazioni per le giovani generazioni. Discorso a parte, peraltro urgente, deve essere fatto per le Casse per le quali si presenta il rischio di riduzione o chiusura della platea dei nuovi iscritti Per evidenti ragioni di trasparenza è importante vedere come il futuro delle Casse sia previsto dai bilanci tecnici delle Casse stesse. Purtroppo, malgrado le esplicite sollecitazioni della Commissione Bicamerale di Controllo, molte Casse non rendono pubblicamente disponibili i loro bilanci tecnici, mentre è necessario per una adeguata valutazione della sostenibilità che siano noti almeno gli ultimi due. Non appare inopportuna una chiara presa di posizione dell’Adepp riguardo a tale problema: sarebbe un importante indice di rinnovamento. Domanda. Cosa ne pensa dell’invito alle Casse del ministro Sacconi di cominciare a pensare alla fusione fra enti per blindare la sostenibilità? R. È necessario fornire preliminarmente una chiara definizione del concetto di sostenibilità. Occorre, infatti, evitare di replicare l’errore concettuale commesso col Decreto Ministeriale del 27 novembre 2007 sui Bilanci Tecnici: tale decreto pur avendo, infatti, come obiettivo principale la verifica della sostenibilità dei sistemi pensionistici privati e privatizzati, oltre che l’adeguatezza delle loro prestazioni, ha «dimenticato» di fornire una definizione operativa di tale concetto. Questo fatto, a mio avviso, ha ingenerato non poca incertezza e confusione: è necessario individuare degli efficaci indicatori di sostenibilità, peraltro già previsti dalla legge Dini, oltre che prescrivere delle altrettanto chiare modalità di rientro dalle situazioni di insostenibilità D. Vista la sproporzione fra chi è andato in pensione con un sistema (retributivo) e chi con un altro (contributivo), è pensabile toccare i diritti acquisiti e tagliare le pensioni più ricche in nome di una redistribuzione dei sacrifici? R. Da un punto di vista personale ritengo che non sia opportuno ipotizzare forme di compensazione tra le vecchie e le nuove generazioni laddove si siano determinate evidenti e rilevanti mancanze di equità intergenerazionale. Questo fatto eviterebbe nel presente e nel futuro l’assunzione di decisioni a scapito delle generazioni più giovani. Penso che gli strumenti più adeguati a tale riguardo siano l’utilizzo del contributo integrativo e l’applicazione di forme perequative sulla indicizzazione delle pensioni più che il loro taglio diretto. È, tuttavia, da rilevare che il problema non è esclusivamente tecnico, ma sconta pesanti implicazioni giuridiche, si pensi a titolo esemplificativo alla vicenda dell’applicazione del contributo di solidarietà a carico dei pensionati. D. Fino a quando, secondo lei, i giovani commercialisti (che hanno cominciato a versare a partire dal 2004 con il nuovo sistema contributivo) accetteranno un sistema come quello attuale in cui chi è in pensione in tre anni ha consumato tutta la sua dote previdenziale? R. Penso che i giovani commercialisti farebbero volentieri a meno di pagare con i loro contributi tali generose pensioni, tuttavia il problema è di natura prevalentemente giuridica e la sua soluzione rientra solo in modo parziale nella disponibilità delle loro decisioni. D. La fusione delle casse di dottori commercialisti e ragionieri migliorerebbe o peggiorerebbe le cose? R. È evidente che un’eventuale fusione delle due Casse migliora la situazione dei ragionieri e peggiora quella dei dottori commercialisti, stanti gli evidenti problemi di sostenibilità della prima a fronte della «solidità» della seconda.