Il fenomeno del lavoro sommerso con i suoi chiari e quanto mai attuali risvolti socio-economici richiede  necessariamente una sistematica valutazione d’impatto che da un lato soddisfi una strategica esigenza informativa in ambito nazionale e dall’altro consenta di adempiere alle direttive comunitarie in materia di emersione e contrasto.

In tal senso l’ISTAT ha elaborato e diffuso nel corso del 2010 le ultime stime sul volume di lavoro non regolare e sul relativo valore aggiunto ad esso attribuibile. Per il 2009 si parla di 2.966.000 unità di lavoro

di cui 377mila relative agli stranieri cosiddetti “clandestini” (12,7%).

 

L’Agricoltura è il settore che presenta il maggior tasso di irregolarità con il 24,5% seguito dai Servizi (13,7%) e dall’Industria (6,2%). L’impatto del lavoro sommerso in termini infortunistici viene periodicamente analizzato dall’INAIL che, partendo dai dati elaborati dall’ISTAT, utilizza i propri indicatori di rischio ed opportuni fattori correttivi per stimarne il numero.

 

Per il 2009 sono stati valutati in circa 165mila gli infortuni “invisibili”, rientranti in un range di gravità medio-lieve, a fronte dei 175mila del 2006. Rispetto al totale risultano essere circa 20mila gli infortuni occorsi a

lavoratori stranieri (12%). Sul piano economico-settoriale ai Servizi sono attribuiti circa 117mila incidenti (71%), 25mila all’Agricoltura (15%) e 23mila all’Industria (14%), il 60% dei quali occorsi nel settore delle

Costruzioni (oltre 14mila infortuni).

 

Sono quasi 13mila gli infortuni per gli stranieri nel settore dei Servizi (63%), circa 4mila nell’Agricoltura (20%) e oltre 3mila nell’Industria (17%). In prospettiva territoriale le stime parlano di oltre 50mila infortuni nel

Mezzogiorno (30%), di quasi 46mila nel Nord-Ovest (28%) e di oltre 34mila infortuni nel Nord-Est e nel Centro entrambi con il 21%.

Fonte: INAIL