di Simona D’Alessio  

Il contributo di solidarietà («un tributo che non produce pensione»), imposto agli iscritti dalla cassa di previdenza dei dottori commercialisti, ottenne nel 2009 la bocciatura della cassazione, perché non conforme al principio del pro rata temporis (ai fini del calcolo pensionistico si deve tener conto dei versamenti nei soli periodi effettivamente lavorati, ndr). E, a distanza di due anni, Michele De Luca, il magistrato che presiede la sezione lavoro della suprema corte, che sancì l’illegittimità dell’intervento, ribadisce in un colloquio con ItaliaOggi che tale pronunciamento chiarisce che gli enti non hanno «un’autonomia senza limiti».

 

Domanda. È in virtù di questa indipendenza che le casse hanno tentato di aggirare il pro rata temporis?

Risposta. Sull’imposizione del contributo di solidarietà ci fu più di una pronuncia sfavorevole: introducendolo, si andava contro l’articolo 23 della costituzione («Nessuna prestazione personale, o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge»). Noi applichiamo la Carta, e permettere alle casse di espropriare parte delle pensioni degli iscritti non è possibile. A proposito del pro rata, c’è stata, però, una conclusione favorevole alla cassa forense: sempre nel 2009, respingemmo il ricorso di un socio (che aveva deciso di cancellarsi dall’albo, chiedendo la restituzione delle somme versate, ndr), poiché la possibilità di optare per il regime contributivo, rispettando il principio in questione in condizioni favorevoli per gli iscritti, rendeva legittimo il comportamento dell’ente, restando nei limiti della sua autonomia. C’è, poi, un altro elemento da non dimenticare.

D. Quale?

R. Parliamo di enti «privatizzati», non «privati», dunque la funzione resta pubblica e, qualora venisse ravvisata una cattiva amministrazione, lo Stato potrebbe e dovrebbe intervenire. Sono passati dieci anni dalla mia uscita dal Parlamento, nel 2001, dove sono stato senatore nelle fila dei Ds e presidente della bicamerale di controllo degli enti di previdenza, e non mi sembra siano avvenuti grandi cambiamenti: ci sono casse che hanno sempre i conti in ordine, altre che hanno sempre problemi.

D. Ne indica qualcuna?

R. Non sarò io a citarle ma, ripeto, ad andare male sono le stesse da molto tempo.

D. Ci sarà mai la super-cassa unica dei professionisti?

R. Difficile che avvenga. La legge delega che ha portato alla privatizzazione degli istituti contiene gli spazi per procedere alla fusione. Una volta, però, che le casse si sono privatizzate rientra nella loro autonomia, eventualmente, procedere ad un’unificazione, che può essere anche realizzata parzialmente, magari per affrontare la previdenza complementare. O gli investimenti.

D. A tal proposito, l’Adepp, l’associazione che raggruppa gli enti, lancerà a breve un codice di autoregolamentazione. Cosa ne pensa?

R. È un segno di sapienza, però è uno strumento che non si può imporre, bisogna ci sia un vero accordo interno.

D. Dal forum della cassa dei dottori commercialisti, la scorsa settimana, si è levato un coro di «sì» all’aumento del contributo soggettivo, per rendere le pensioni più congrue. È d’accordo?

R. Sì, non può restare al 10%. Adesso il mondo della previdenza privatizzata attende il varo della legge Lo Presti, che consente di aumentare il contributo integrativo fino al 5%. Premetto che non ho nulla contro il provvedimento in sé, osservo però che si tratta di una scelta politica, che stabilisce che siano altri, non i professionisti, ma i loro clienti, a pagare. Sarebbe opportuno gli enti procedessero su entrambe le strade. Facciano, cioè, salire sia il contributo integrativo, sia quello soggettivo.