Con una iniziativa alquanto approssimativa Il Sole 24 Ore ha montato una campagna che rischia di portare i lettori fuori strada. Generando panico inutile 

di Angelo De Mattia

Tempo di scoperte tardive di problemi e argomenti in discussione da circa tre anni. Un esempio lo offre Il Sole 24 Ore che in questi giorni pubblica lunghi articoli sui derivati additando i rischi crescenti della loro diffusione.

Stando ai dati resi noti dal quotidiano della Confindustria (che tra l’altro titola su una «mina» da 4 mila miliardi «in pancia» alle banche europee), il fenomeno si sarebbe accresciuto sensibilmente negli ultimi tempi, non solo in Europa. Ma la chiamata in ballo dei governi, con un editoriale, perché provvedano ora a regolamentare il settore – quasi fosse un problema insorto adesso – suona assai singolare, dal momento che questa esigenza è stata diffusamente espressa da almeno due anni. MF-Milano Finanza ne ha trattato ripetute volte. Va inoltre segnalato che il monito del Sole 24 Ore fa il paio con un’altra scoperta, secondo la quale quelle del Financial stability board (Fsb) sono, al più, delle soft law, regole cioè in grado di orientare i comportamenti dei destinatari ma prive di efficacia; di qui il carattere cruciale dell’intervento dei governi e dei parlamenti nazionali.

 

Ora, senza voler offendere alcuno, quella del Sole 24 Ore ci sembra la classica scoperta dell’acqua calda. Che il Financial stability board non disponga di un potere normativo cogente nei confronti negli Stati lo sanno anche le pietre. Questo organismo ha, in ogni caso, messo a punto un complesso di raccomandazioni e indirizzi – segnalandosi come l’unico soggetto che abbia prodotto risultati concreti per contrastare e prevenire le crisi – che poi avrebbero dovuto essere tempestivamente recepiti negli ordinamenti nazionali, il che puntualmente non è però avvenuto. In particolare, a proposito dei derivati è stata sottolineata la necessità di un forte regime di trasparenza e dell’obbligo della loro negoziazione su piattaforme centralizzate con individuazione, dunque, delle controparti. Si potrebbe ancora affrontare il carattere che questi strumenti finanziari dovrebbero possedere perché essi siano di copertura e garanzia di operazioni finanziarie e non diventino invece titoli aleatori autonomi, riconducibili alla categoria delle pure scommesse, senza dunque alcun collegamento con operazioni principali. Finora, tuttavia, nonostante i crescenti allarmi, al di là del progetto di una direttiva comunitaria nessuno strumento legislativo nazionale vincolante è stato introdotto nei Paesi aderenti al Fondo monetario internazionale e al Financial stability board

 

La storia dei derivati è lunga. Ne sa qualcosa anche l’Italia, come ne sanno risparmiatori ed enti territoriali. Agli inizi del passato decennio, la Banca d’Italia non mancò di richiamare l’attenzione sulla diffusione di questo strumento che si presentava bifronte, con aspetti positivi ma anche con il rischio immanente della degenerazione in un contratto massimamente aleatorio. Era l’epoca della confezione dei nuovi prodotti finanziari, durante la quale venivano impiegate sofisticate specializzazioni in matematica e fisica. L’allora presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, era sostenitore a spada tratta dei derivati, così come era infatuato della new economy. In sede internazionale si tardò a prendere consapevolezza del fenomeno, risultato poi tra quelli che hanno concorso alla crisi finanziaria globale. Oggi si scopre lo shadow banking, del quale si parla dal 2008 quale causa ed effetto della crisi. Anche in questo caso, da ultimo nella recente riunione del Fsb a Washington, il tema del «sistema bancario ombra» è stato nuovamente affrontato nel contesto dei progressi, che sarebbero quanto mai necessari, della regolamentazione bancaria e finanziaria. Ma si continua a indugiare da parte dei governi, ripetutamente sollecitati a intervenire anche per evitare che l’avanzamento della normazione del sistema bancario istituzionale finisca addirittura con l’accrescere il fenomeno delle attività-ombra.

Di sicuro se non si fosse perso tempo a discutere di global legal standard, tra lo scetticismo dei più, e si fosse badato a queste vere problematiche nei consessi internazionali investiti di responsabilità politiche, probabilmente oggi non si lancerebbero, sia pure con enorme ritardo, gli allarmi di cui si è detto.

 

Un’altra scoperta ancora riguarda l’educazione finanziaria (si veda sempre Il Sole 24 Ore). Un tema certo non di recente importanza, sul quale più volte MF-Milano Finanza negli anni è intervenuto. C’è una proposta di legge in materia, ma fatica a compiere il suo iter. Se si esclude il forte, apprezzabile impegno della Banca d’Italia in materia – che ha concertato iniziative anche con il ministro dell’Istruzione ed è collegata con il lavoro che viene svolto negli organismi internazionali ai quali partecipano suoi esponenti – e di qualche authority, oltre che (per alcuni aspetti) del Consorzio PattiChiari (Abi), non è stato fatto quasi nulla per dare una sistemazione strutturata a questa funzione, la cui importanza cresce al crescere della sofisticazione delle attività finanziarie. Abbiamo citato, proprio perché sono rare le iniziative in proposito, la meritoria opera svolta da Beppe Ghisolfi, presidente della Cassa di Fossano, che è stato capace di redigere e attuare, nel microcosmo italiano, un efficace programma di educazione finanziaria nelle scuole con una tenacia pionieristica.

 

È ora che il governo batta un colpo su questa materia, riconducibile a quella più generale della trasparenza, dell’equilibrio dei rapporti negoziali tra clientela e banca, dell’uso responsabile del denaro e, in definitiva, della tutela del risparmio. Quanto alle scoperte tardive, invero non sono una novità. Ricordo la tesi apparsa sul giornale della Confindustria che sollecitava la Banca d’Italia, all’inizio del decennio scorso, a vendere l’oro delle sue riserve e i recenti elogi perché, visto l’andamento delle quotazioni del metallo giallo, la Banca aveva deciso giustamente di non venderlo. Ambulatoria est humana voluntas usque ad extremum vitae exitum. In definitiva, queste scoperte ben vengano, purché vi sia consapevolezza dei ritardi segnati e, in qualche caso, delle giravolte del pensiero. (riproduzione riservata)