La responsabilità amministrativa amplia la sua portata
 di Debora Alberici  

Inversione di rotta sulla portata applicativa della 231. D’ora in avanti, infatti, le norme sulla responsabilità amministrativa degli enti saranno applicabili anche all’impresa individuale.

Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza numero 15657 del 20 aprile 2011, ha respinto il ricorso di una piccola azienda di Caltanissetta coinvolta nell’ambito di un’inchiesta sullo smaltimento illecito dei rifiuti.

Fino a ieri tutti i collegi di legittimità chiamati a decidere su casi di impresa individuale avevano sostenuto, in modo omogeneo, che «soltanto sugli enti dotati di personalità giuridica che siano strutturati in forma societaria o pluripersonale possono farsi gravare gli articolati obblighi nascenti dal dlgs 231/2001».

Ma, questa volta, gli Ermellini non hanno condiviso la tesi bocciandola espressamente «come un argomento privo di pregio per un concorrente ordine di ragioni». E ci hanno messo di mezzo pure la Costituzione. Come sempre le interpretazioni «pioniere» di Piazza Cavour, e cioè quelle che vanno a riempire un dichiarato vuoto normativo, sono, per usare le parole dei giudici, «costituzionalmente orientate».

C’è un solo requisito, dunque, per l’applicabilità della 231: la personalità giuridica. Insomma i destinatari di queste norme «ben possono essere identificati sulla base dell’appartenenza alla generale categoria degli enti fornitori di personalità giuridica nonché di società o associazioni anche prive di questa».

In sostanza, «muovendo dalla premessa che l’attività riconducibile all’impresa è attività che fa capo a una persona fisica e non a una persona giuridica intesa quale società di persone (o di capitali), non può negarsi che l’impresa individuale (divergente dalla ditta individuale) ben può assimilarsi a una persona giuridica nella quale viene a confondersi la persona dell’imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività: il che porta alla conclusione che, da un punto di vista prettamente tecnico, per impresa deve intendersi l’attività svolta dall’imprenditore-persona fisica per la cui definizione si rinvia al codice civile».

Ma non basta. Secondo la Cassazione il rinvio di questo testo di legge tanto discusso a soggetti metaindividuali «creerebbe il rischio di un vero e proprio vuoto normativo, con inevitabili ricadute sul piano costituzionale connesse a una disparità di trattamento tra coloro che ricorrono a forma semplici di impresa e coloro che, per svolgere l’attività, ricorrono a strutture ben più complesse e articolate».

E ancora, con una motivazione fiume la Cassazione precisa che «è indubbio a questo punto che la disciplina dettata dal dlgs 231/01 sia senz’altro applicabile alle società a responsabilità limitata unipersonali, così come è noto che molte imprese individuali spesso ricorrono a una organizzazione interna complessa che prescinde dal sistematico intervento del titolare dell’impresa per la soluzione di determinate problematiche e che può spesso involgere la responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore ma che operano nell’interesse della stessa impresa individuale».

Ed ecco finalmente il punto: una lettura delle norma orientata ai lumi della Carta fondamentale, dicono i giudici, dovrebbe indurre a conferire all’articolo 1 della 231 «una portata più ampia», tanto più che «non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale a esclusione ma, semmai, ad una implicita inclusione dell’area dei destinatari della norma».

Dello stesso segno l’intervento in aula della procura generale che, nella sua requisitoria, aveva sollecitato il rigetto del ricorso.