I moti di rivolta delle minorities arrivano a Trieste. Dove, secondo quanto circola negli ambienti finanziari, i fondi attivisti si apprestano ad alzare il mirino direttamente contro il management di Generali guidato dall’ad Giovanni Perissinotto. In particolare, i soci di minoranza sarebbero pronti a esprimere il proprio disappunto attraverso un voto contrario a uno specifico oggetto all’ordine del giorno. Quello rubricato al punto 4 dell’assemblea ordinaria: «Presentazione della relazione illustrativa sulla politica di remunerazione del management della società e del gruppo: deliberazioni inerenti e conseguenti». Insomma, i fondi mettono sotto tiro i compensi elargiti a Trieste, per manifestare nel modo più diretto e concreto l’insoddisfazione in merito all’andamento dei risultati e del titolo in Borsa.
L’assemblea (ordinaria in seconda, straordinaria in terza convocazione) che si svolgerà domani, del resto, arriva nel pieno di una delle stagioni assembleari più calde di Piazza Affari, complici le recenti modifiche normative che hanno di fatto consegnato importanti armi agli azionisti di minoranza (vedi F&M del 26 aprile), le quali, a loro volta, hanno riacceso lo spirito di agire di fondi e istituzionali. Dopo i casi Parmalat, Telecom e Milano Assicurazioni, si attendono nuove prese di posizione importanti da parte sopratuttto degli investitori istituzionali (vedi articolo nella pagina a fianco sul pasticcio ieri in assemblea Impregilo), con le retribuzioni del management destinate ad alimentare più di una recriminazione (vedi anche larticolo a fianco sull’annuncio di ieri dei vertici di Saras). Gli stipendi nel comparto assicurativi, peraltro, sono sotto osservazione della stessa Isvap (l’istituto di vigilanza del settore). Secondo quando due giorni fa ha spiegato in Parlamento il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, «l’Isvap sta lavorando alla definizione di un regolamento che punti a contenere le remunerazioni nelle imprese di assicurazioni, con particolare riferimento ad amministratori, dirigenti e personale delle imprese».
Insomma, l’attacco dei fondi agli stipendi del Leone nasce in uno scenario di grandi turbolenze, e sarà dichiarato in un’assemblea che di per sé cade in uno dei periodi più delicati della storia recente delle Generali. Il confronto tra i soci arriva dopo le battaglie che hanno portato all’uscita di scena di Cesare Geronzi (con una buonuscita da 17 milioni) e la nomina al suo posto di Gabriele Galateri. Una sequenza avviata dagli attacchi strategico-genrazionali di Diego Della Valle, proseguita con le prese di posizioni di Vincent Bolloré sul bilancio e su presunte irregolarità nella governance sbilanciata a Est (verso il partner ceco Petr Kellner), concluse con un board in ribellione verso l’ex numero uno troppo appassionato alle posizioni di sistema per essere digerito a Trieste. Nel contempo, la guerra ha portato all’uscita dal consiglio di Leonardo del Vecchio, rappresentante di assoluto rilievo dell’anima industriale nell’azionariato, nonché della Ana Botin, figlia del conducador del Banco Sandanter, indice dello spostamento di equilibri sullo scacchiere internazionale, ossia di un progressivo allontanamento del Leone dall’asse francese che porta a Groupama. Dopo un tale terremoto, domani ci si attendono pretese di chiarimenti anche dai soci forti di Generali. Ma è difficile preveder uscite allo scoperto troppo evidenti: Generali resta l’esempio migliore di una finta public company. Nel contempo, rimane il crocevia delle partite finanziarie nazionali, legata a doppio filo a Mediobanca, e alle sue prospettive di nuovo corso targate Alberto Nagel. L’attacco al management, insomma, sarà lasciato volentieri agli attivisti esteri.
Del resto, Trieste è già stata teatro di battaglie assembleari importanti delle minorities, come quella di Algebris, nel 2007, che anche allora utilizzò la leva delle eccessive retribuzioni del management per scardinare l’arrocco del Leone. In questi quattro anni , come nota un recente report di Barclays, la struttura azionaria e la governance di Generali hanno fatto passi importanti: «Mentre Mediobanca – scrivono gli analisti – resta il socio principale con circa il 14%, la quota detenuta da altre banche italiane è praticamente scomparsa rispetto all’11% del 2007. Inoltre, registriamo che investitori internazionali di alto profilo sono apparsi nell’azionario per la prima volta». Questo, non ha impedito la costante caduta del titolo in Borsa (confermata da un progressivo declino dei target price degli analisti). Fino a oggi, nella primavera delle rivolte assembleari.