di Alba Mancini

Non deve risarcire il cliente dei danni morali il consulente fiscale che si è intascato i soldi delle tasse e ha patteggiato la pena. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza numero 8421 depositata ieri dalla terza sezione civile, ha accolto l’ultimo motivo di ricorso presentato da un professionista accusato di essersi intascato il denaro ricevuto per il pagamento delle imposte. Oltre 31 mila euro. Ecco la cifra non versata al fisco. Per questo era scattata la denuncia penale. L’uomo aveva deciso di patteggiare la pena. Dunque, il cliente aveva instaurato una causa per ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e morali. Sul primo punto «nulla quaestio». Il tribunale e la Corte d’appello di Genova avevano accordato un ristoro. Contro questa decisione il consulente ha presentato ricorso alla Suprema corte. La terza sezione civile ha accolto il quinto motivo sottolineando che non esistono automatismi nella liquidazione del danno non patrimoniale dal momento che il patteggiamento non è equiparabile a una sentenza di condanna.

Sul punto in motivazione si legge che «la sentenza, con la quale il giudice applica all’imputato la pena da lui richiesta e concordata con il pubblico ministero, pur essendo equiparata a una pronuncia di condanna ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 445, comma primo, cod. proc. pen., non è tuttavia ontologicamente qualificabile come tale, traendo essa origine essenzialmente da un accordo delle parti, caratterizzato, per quanto attiene l’imputato, dalla rinuncia di costui a contestare la propria responsabilità. Ne consegue che non può farsi discendere dalla sentenza di cui all’art. 444 cod. proc. pen. la prova della ammissione di responsabilità da parte dell’imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile». Inoltre, il danno risarcibile ex art. 2059 c.c. è sempre un danno conseguenza. Da questo deriva che «esso vada provato, non essendo ammissibile la ritenuta esistenza di tale danno, anche se conseguente a reato, come danno in re ipsa. Ovviamente nell’ambito delle prove per l’esistenza di tale danno non patrimoniale il giudice potrà avvalersi anche della prova presuntiva».