GIURISPRUDENZA

Un po’ di chiarezza (e matematica) sulle modalità di riparto delle quote

Autori: Marta Pezzera e Marco Dimola
ASSINEWS 362 – Aprile 2024

Premessa

Con la sentenza n. 4273 del 16 febbraio 2024 la Corte di Cassazione ha affrontato il tema delle modalità pratiche secondo cui calcolare le singole quote a carico di ciascun assicuratore in caso di coassicurazione indiretta o assicurazione plurima, ossia in tutti quei casi in cui siano stati stipulati due o più contratti di assicurazione a copertura del medesimo rischio.

Si tratta di un tema che la giurisprudenza ha affrontato piuttosto raramente e il taglio spiccatamente pratico della pronuncia in commento offre agli operatori del settore una formula matematica specifica per calcolare la reale esposizione in caso di sinistri coperti da più polizze emesse da diversi assicuratori.

 Il caso e la decisione della Cassazione

La pronuncia prende le mosse da una vicenda di responsabilità civile di una clinica e dei suoi medici per le lesioni permanenti patite da un neonato a seguito del parto. In quell’occasione la compagnia assicurativa della responsabilità civile della clinica e dei suoi dipendenti (che, per comodità espositiva, chiameremo “Compagnia A”) aveva corrisposto ai genitori del neonato un indennizzo pari a Euro 1.502.442. Successivamente, la Compagnia A aveva agito in regresso nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile personale del medico coinvolto nella vicenda (“Compagnia B”) evidenziando la sussistenza di un’ipotesi di assicurazione plurima ai sensi dell’art. 1910 c.c.

Una volta chiarito il dubbio sulla ricorrenza di un’ipotesi di assicurazione plurima, inizialmente negata dai giudici di merito e successivamente confermata dai giudici di legittimità (1), la vicenda è nuovamente giunta all’esame della Corte di Cassazione, questa volta sulla vexata quaestio della misura del regresso spettante all’assicuratore che aveva già eseguito il pagamento ai sensi dell’art. 1910, quarto comma, c.c. Più in particolare, con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Milano aveva osservato che entrambi i contratti assicurativi coprivano interamente la responsabilità dell’assicurato sino alla concorrenza dell’indennizzo già pagato, ragione per la quale alle due compagnie coinvolte spettava una quota paritaria del 50% ciascuna. Il diritto di regresso della Compagnia A veniva, quindi, quantificato in tale misura. La Compagnia B aveva presentato ricorso in Cassazione deducendo che la ripartizione dell’indennizzo tra i due assicuratori dovesse compiersi in proporzione ai rispettivi massimali assicurati e non agli indennizzi dovuti.

Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha chiarito, una volta per tutte, che la misura del diritto di regresso spettante all’assicuratore che ha pagato l’intero indennizzo si determina in proporzione all’indennizzo dovuto e non al massimale. Più in particolare, tale proporzione è da calcolarsi in misura pari al prodotto del danno causato dal sinistro per l’indennizzo concretamente dovuto dal singolo assicuratore, fratto il cumulo degli indennizzi concretamente dovuti da tutti gli assicuratori coinvolti. Tradotto in formula matematica:

Proporzione:

Q è l’incognita, ossia la quota gravante sulla Compagnia A
D è il danno causato dal sinistro
IA è l’indennizzo che la Compagnia A sarebbe tenuta a versare se non ci trovassimo in ipotesi di c.d. assicurazione plurima
SI è la somma degli indennizzi che le compagnie A e B sarebbero tenute a versare se non ci trovassimo in ipotesi di c.d. assicurazione plurima Una volta ottenuta la quota gravante sulla Compagnia A la misura del regresso sarà data dalla differenza tra il danno causato dal sinistro e il risultato ottenuto.

Si tratta di una conclusione che la Corte di Cassazione fonda su diverse ragioni:

a) interpretazione letterale: l’art. 1910, quarto comma, c.c. fa riferimento alle “indennità dovute”, da intendersi come indennizzo concretamente dovuto, in coerenza con l’interpretazione che viene data a tale espressione in tutto il capo XX del titolo III del libro quarto del codice civile e, in particolare, nel terzo comma dello stesso art. 1910 c.c.;
b) interpretazione finalistica: la ratio dell’art. 1910, quarto comma, c.c. consiste nel ridurre il peso economico di ciascun assicuratore in presenza di più assicuratori; l’unica tesi che garantisce tale risultato è quella che fa riferimento all’indennizzo concretamente dovuto, essendo la sola che tiene conto di eventuali franchigie e scoperti che sono, invece, del tutto trascurati nell’altra ipotesi, all’esito della quale il singolo assicuratore potrebbe paradossalmente venire penalizzato in caso di assicurazione plurima;
c) interpretazione logica: la tesi che si fonda sul criterio proporzionale riferito al massimale non può trovare concreta applicazione in caso (più di scuola che reale) di massimale illimitato;
d) in ottica comparatistica: l’interpretazione accolta dalla Suprema Corte è del tutto coerente con il diritto assicurativo francese che ha codificato il superamento del primo orientamento in favore del secondo.

Ambito di applicazione

La sentenza in commento si rivela estremamente utile ai fini del calcolo della quota a carico di ciascun assicuratore ogniqualvolta il medesimo rischio risulti coperto da più assicuratori. Non è frequente che un soggetto stipuli più polizze (e paghi più premi) a copertura del medesimo rischio, e infatti l’ipotesi in esame ricorre generalmente nei casi in cui vi sia la concorrenza tra la polizza stipulata in prima persona dall’assicurato e la polizza stipulata per suo conto da un terzo. Si pensi, a titolo esemplificativo, al caso della copertura fornita dall’istituto sanitario in favore dei medici dipendenti, dalla società capogruppo in favore delle sue affiliate, dalla società in favore dei suoi amministratori e sindaci, dallo studio legale in favore dei suoi collaboratori, ecc. Inoltre, la formula matematica indicata dalla Suprema Corte potrà trovare applicazione sia nell’ipotesi che ricorreva nel caso concreto, ossia quella dell’assicuratore che abbia già versato integralmente l’indennizzo e debba agire in regresso nei confronti degli altri, sia nelle ipotesi in cui non sia stato ancora effettuato alcun pagamento e occorra individuare le singole quote a carico di ciascun assicuratore.

Effetti pratici e altri metodi di calcolo del riparto di quote tra gli assicuratori

La pronuncia oggetto di analisi (2) permette di sciogliere diverse incertezze riguardanti il calcolo della reale esposizione della compagnia assicurativa in ipotesi di assicurazione plurima. I giudici di legittimità, infatti, oltre a superare il metodo fondato sui massimali, forniscono anche una formula matematica chiara che confuta le altre ipotesi di calcolo precedentemente proposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito. Anzitutto, la Corte di Cassazione chiarisce che la proporzione va effettuata prendendo a riferimento il “danno causato dal sinistro” e non, invece, il “danno indennizzabile” (3).

Quest’ultima espressione è, infatti, foriera di potenziali incomprensioni e fraintendimenti che, trattandosi di formule matematiche, hanno determinato e determinano diversi errori di calcolo (4). Viene inoltre superato il duplice calcolo matematico proposto dal Tribunale di Milano nella sentenza n. 10437/2019 (5) che, nel quantificare la quota di regresso, individuava due formule:

a) una prima che, pur partendo dal principio corretto di voler utilizzare a riferimento le indennità spettanti in concreto in forza dei contratti anziché i massimali, quantificava la misura del diritto di regresso spettante all’assicuratore che ha pagato l’intero indennizzo utilizzando fattori non corretti (6);
b) una seconda, introdotta dai giudici milanesi per verificare la correttezza del risultato ottenuto con la prima, che rapportava a 100 la somma degli indennizzi dovuti dalle compagnie in base ai rispettivi contratti secondo la seguente proporzione (7):

Q è l’incognita, ossia la quota in termini percentuali gravante sulla Compagnia A
IA è l’indennizzo che la Compagnia A sarebbe tenuta a versare se non ci trovassimo in ipotesi di c.d. assicurazione plurima
SI è la somma degli indennizzi che le compagnie A e B sarebbe tenuta a versare se non ci trovassimo in ipotesi di c.d. assicurazione plurima E rapportava, poi, erroneamente il risultato ottenuto all’indennizzo versato.

Pare interessante notare come la Corte di Cassazione abbia il pregio di aver utilizzato la proporzione percentuale suggerita dal Tribunale di Milano (che, sotto tale profilo, ha fornito un prezioso strumento per ottenere in termini percentuali le quote spettanti a ciascun assicuratore) rapportandola, però, al parametro corretto, ossia al danno causato dal sinistro, anziché all’indennizzo versato. Tale soluzione è, infatti, del tutto coerente con l’interpretazione finalistica del terzo comma dell’art. 1910 c.c. secondo cui il limite entro il quale l’assicurato ha diritto di essere indennizzato dalle compagnie coinvolte consiste nell’ammontare del danno, e non certo nell’indennizzo riconosciuto dalla compagnia che lo abbia già versato. La ratio della norma è quella di garantire all’assicurato che ha stipulato più contratti assicurativi per lo stesso rischio, e che ha quindi pagato più premi, di ottenere un indennizzo esau stivo, maggiore di quello che avrebbe ottenuto se fosse stata operante solo una polizza, naturalmente entro il limite dell’importo del danno subito in base al c.d. principio indennitario. Una volta ricevuto il primo indennizzo, l’assicurato potrà infatti coinvolgere le altre compagnie sino al raggiungimento dell’importo del danno subito.

Conclusioni

In definitiva, il metodo di calcolo proposto dalla Corte di Cassazione (o la formula matematica del calcolo della proporzione percentuale tra gli indennizzi dovuti rapportata al danno causato dal sinistro, che conduce al medesimo risultato)(8) ha il pregio di poter essere utilizzato tanto nel caso previsto dal quarto comma dell’art. 1910 c.c. (regresso di un assicuratore verso gli altri), tanto nel caso previsto dal terzo comma dell’art. 1910 c.c. (richiesta da parte dell’assicurato di adempimento rivolta a tutti gli assicuratori). Al tempo stesso, è possibile osservare un residuale profilo problematico non affrontato dalla pronuncia. Si ipotizzi il caso in cui l’assicurato abbia chiesto e ottenuto l’indennizzo solamente dalla Compagnia A entro i limiti della relativa polizza: la Compagnia A si troverebbe in una situazione di vantaggio economico poiché otterrebbe dalla Compagnia B una quota rapportata al danno subito dall’assicurato, pur avendo corrisposto a quest’ultimo un importo minore rispetto al danno, ossia pari al danno al netto di franchigie e scoperti. È pur vero che si tratterebbe di un vantaggio economico che verrebbe annullato nel momento in cui l’assicurato dovesse richiedere alla Compagnia B la parte di danno non indennizzata dalla Compagnia A, così che la Compagnia B avrebbe a sua volta diritto di regresso verso la Compagnia A, sempre utilizzando il medesimo criterio di calcolo.

Marta Pezzera (Avvocato, Clyde & Co)
Marco Dimola (Avvocato, Clyde & Co)

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1 La questione era, infatti, giunta alla Suprema Corte già in una prima occasione in merito al diverso tema dell’interpretazione della clausola c.d. a secondo rischio della polizza personale del medico, inizialmente ritenuta valida dai giudici di merito ed infine ritenuta non adeguatamente formulata dalla Cassazione (v. Cass. Civ. n. 11819/2016).
2 Che peraltro rispetta perfettamente il criterio del riparto prescritto negli accordi ANIA, v. Accordo per la gestione dei sinistri in coassicurazione indiretta relativi a polizze incendio e/o furto o a polizze multirischio che prevedono tali garanzie rispetto al medesimo bene assicurato precedentemente noto come art. 13 delle norme ANIA per la liquidazione dei sinistri in  coassicurazione indiretta.
3 A tale locuzione si fa riferimento in M. ROSSETTI, Il diritto delle Assicurazioni, Vol. II, pag. 57 ed
è richiamata anche da A. IANNACONE, La coassicurazione indiretta o assicurazione plurima: il criterio di riparto tra assicuratori c’è ma non si vede, in Resp. Civ., 8 novembre 2021.
4 Il “danno indennizzabile”, se interpretato restrittivamente, è un concetto mutevole che dipende dai parametri inseriti in ciascuna polizza e che, a ben vedere, finisce per coincidere con l’indennizzo stesso; il danno indennizzabile è, infatti, il danno ridotto della somma relativa alla franchigia e che cade entro il limite del massimale.
5 Tribunale Milano, sentenza n. 10437/2019 pubbl. il 14 novembre 2019, R.G. n. 37540/2016 (inedita).
6 La formula prevedeva di ottenere la quota di regresso spettante alla Compagnia A mediante il prodotto tra l’importo indennizzato e l’importo indennizzabile dalle altre compagnie assicurative coinvolte, fratto la loro somma; tradotto in formula matematica, la proporzione era Q : IA = IB : SI, così che Q = (IA per IB)/SI. Dove Q era l’incognita, ossia la quota gravante sulla Compagnia A, IA era l’indennizzo che la Compagnia A sarebbe tenuta a versare se non ci trovassimo in ipotesi di c.d. assicurazione plurima, IB era l’indennizzo che la Compagnia B sarebbe tenuta a versare se non ci trovassimo in ipotesi di c.d. assicurazione plurima e SI era la somma tra IA e IB.
7 La sentenza del Tribunale di Milano, per mero errore materiale, riporta una proporzione errata, salvo poi calcolare la quota percentuale in modo corretto.
8 Più in particolare, l’operazione che dovrà essere effettuata per ottenere la misura del regresso e/o la misura delle quote spettanti a ciascuna Compagnia in termini numerici partendo dalla quota percentuale ottenuta mediante la formula sopra analizzata, sarà costituita da due passaggi: una prima fase di calcolo del prodotto tra la quota percentuale ottenuta e il danno causato dal sinistro, che permetterà di individuare la quota di indennizzo a carico della Compagnia A in termini numerici, e una seconda fase di detrazione di tale quota dal danno causato dal sinistro, che permetterà di individuare la quota di indennizzo a carico della Compagnia B, cui dovrà essere limitato il regresso.

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