Il CEPCentres for European Policy Network ha pubblicato uno studio che analizza i pro e i contro di un eventuale divieto di applicazione delle commissioni nel settore dei servizi finanziari.

Alla fine del 2022, la commissaria europea McGuinness ha suscitato polemiche con le sue proposte relative alla possibile attuazione di un divieto dell commissioni di retrocessione sui servizi finanziari nell’UE. Ma qual è la posizione giuridica attuale nell’UE?
Qual è stata l’esperienza del Regno Unito e dei Paesi Bassi in merito al divieto di commissione? E quali approcci normativi dovrebbe seguire la Commissione europea?
Queste sono le domande a cui ha cercato di rispondere lo studio Cep.

La legislazione, sotto forma di Direttiva MiFID e Direttiva sulla distribuzione assicurativa (IDD), è già stata istituita per rafforzare la protezione dei consumatori sul mercato degli investimenti al dettaglio.
Tuttavia, ciò non ha risolto la questione della necessità di vietare le commissioni.
A seguito dei divieti sulle commissioni nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, l’accesso ai servizi di consulenza sembra essere diventato più difficile per molti consumatori, soprattutto per quelli finanziariamente meno abbienti. Inoltre, si è verificato uno spostamento verso attività di investimento senza consulenza e un calo del numero di intermediari.

I sostenitori del divieto sperano in una maggiore trasparenza, in una migliore qualità e in una riduzione dei costi. Il Centres for European Policy Network (CEP) considera tali divieti delle commissioni di retrocessioni (inducement), ad esempio quelli già in vigore nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna, come una rottura dei modelli commerciali consolidati e invoca piuttosto altre soluzioni.

“Nel caso di un divieto di inducement, i fornitori di prodotti finanziari ed assicurativi dovrebbero cambiare radicalmente i loro modelli di business, ad esempio in forma di consulenza separata a pagamento. Ma i fornitori dovrebbero, piuttosto, essere messi in condizione di poter anche puntare a rafforzare le conoscenze dei consumatori sulle questioni finanziarie”, sostiene l’economista del CEP Philipp Eckhardt, che ha valutato in un cepStudio i pro e i contro del divieto delle commissioni di retrocessione, insieme alla giurista specializzata in finanza del CEP, Anastasia Kotovskaia.

Una maggiore conoscenza da parte dei consumatori, infatti, contribuirebbe a prendere comunque decisioni consapevoli. “Un totale divieto delle commissioni di retrocessione non appare appropriato. Ci sono altri modi per migliorare la consulenza sugli investimenti e sulle assicurazioni”, afferma Anastasia Kotovskaia. Ad esempio, il legislatore dovrebbe rendere più stringenti gli obblighi di informazione per rendere i modelli commerciali più comprensibili ai consumatori. Allo stesso tempo, si dovrebbe mantenere una parità di condizioni, che non favorisca o svantaggi nessuna forma di compensazione dell’intermediazione. Un ulteriore argomento contro il divieto degli inducement è che una restrizione dei canali di distribuzione interferirebbe anche con il diritto degli intermediari di servizi finanziari di esercitare liberamente la propria professione.

Da un punto di vista ordoliberale e giuridico, i divieti delle commissioni non sono un’opzione efficace per l’UE. Invece di invece di bloccare i modelli di business consolidati, l’UE dovrebbe continuare a consentire la concorrenza tra i modelli di remunerazione.
Secondo lo studio il semplice divieto di un modello di distribuzione non è una soluzione per un mercato mercato non efficiente dal punto di vista dell’informazione.

I modelli di consulenza a pagamento funzionano solo in concorrenza con i modelli a commissione (e viceversa) perché il divieto di un modello porta all’inefficienza dell’altro.

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