LA RISCOSSIONE CHIAMA IN CASSA LE IMPRESE DECADUTE DALLA ROTTAMAZIONE: IL 43% È A RISCHIO
di Marcello Pollio e Filippo Pongiglione
La decadenza dalla rottamazione-ter rischia di diventare la miccia d’innesco che farà esplodere i fallimenti. E il peggio è che la bomba è innescata proprio dall’Agente della riscossione.

Il default riguarda almeno 500 mila imprese, pari al 43% dei contribuenti, che non sono state in grado di pagare le rate delle imposte pregresse e sospese a seguito della normativa emergenziale Covid-19 e che, da qualche giorno, senza alcun cuscinetto e preavviso, si stanno vedendo notificare a tempo di record (si veda ItaliaOggi del 3 marzo), via Pec, le intimazioni di pagamento del residuo dovuto, comprensivo di sanzioni e interessi, per essere venuta meno la rottamazione. L’intimazione prevede il pagamento del debito entro 5 giorni, senza possibilità di dilazione o altre tolleranze. Scaduti i 5 giorni scatteranno direttamente le procedure esecutive e cautelari come fermi amministrativi, ipoteche e pignoramenti. Per la verità, anche il restante 57% di contribuenti interessati si trova a fare i conti con le difficoltà e i tempi per l’adempimento della prossima scadenza, poiché entro il 7 marzo deve essere stata saldata la rata dei piani di rottamazione ter non decaduti e il debito dovrà essere pagato non oltre il 12 marzo, cioè entro la tolleranza di 5 giorni ammessa dall’Agenzia delle entrate.

L’Agente della riscossione, infatti, non sembra avere alcuna intenzione di soprassedere al recupero dei 2,4 miliardi di debiti dormienti. Nelle intimazioni di pagamento i termini sono perentori e viene previsto che o si paga o le azioni esecutive saranno implacabili. L’art. 3, co.14, lettera b) del dl 119/2018, in caso di decadenza dai piani, stabilisce che non è possibile procedere con la rateizzazione del debito residuo ai sensi dell’articolo 19 del dpr 602/73. La situazione è quindi molto difficile. Le aziende sono costrette a valutare le opzioni alla rateizzazione tributaria per bloccare il pagamento del dovuto, stoppare i pignoramenti e le azioni esecutive e anche, semmai, utilizzare metodi alternativi alla rottamazione per pagare a saldo e stralcio il debito residuo. Debito che è ora tornato ai valori nominali, aumentati di sanzioni e interessi.

I versamenti già effettuati in passato sono stati acquisiti a titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto, ma il carico tributario iscritto a ruolo che prima era stato ridotto in funzione dell’accesso alla rottamazione ora è stato ripristinato e rideterminato perché la rottamazione ter estingue l’intero debito solo se pagato integralmente. L’Agenzia delle entrate, così, sta rincorrendo i debitori per importi assai considerevoli. Se poi si tiene conto che i debiti pregressi risalgono nel tempo, poiché i ruoli sono riferiti alle annualità dal 2016 in poi, ci si rende conto che le imprese sono oggi incolpevolmente sommerse da esposizioni tributarie che avevano cercato di definire con le agevolazioni previste via via nel tempo e che mai prima d’ora l’Agente della riscossione aveva potuto sollecitare. La soluzione è una sola: ricorrere a strumenti extra tributari che permettano il blocco delle azioni esecutive e la riduzione delle sanzioni. In estremi casi, estremi rimedi. Le imprese valutano anche l’utilizzo della transazione fiscale prevista dall’art. 182 ter lf, che però richiede l’accesso a una procedura di concordato preventivo o la richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis lf.

Il governo aveva pensato a questa situazione e aveva cercato di scongiurare il default del sistema Paese introducendo la nuova Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (Cnc), con dl 118/21 di agosto convertito in legge 147/2021, proprio per agevolare la continuità aziendale, risanare le imprese in difficoltà finanziaria ed evitare l’uso smisurato delle procedure concorsuali, ma soprattutto evitare di intasare la macchina giudiziaria incapace di assorbire uno tsunami così imponente.

Arretra la Cnc e avanza il concordato preventivo. Di fronte al rischio di interruzione dell’attività d’impresa, dunque, le aziende devono pensare a come tutelare la gestione aziendale, pur incapaci di pagare subito i debiti tributari. Il governo ha pensato di aiutare le imprese indebitate con il fisco rinviando, da un lato, l’avvio dei cosiddetti sistemi di allerta del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (dlgs 14/2019) al 31 dicembre 2023 e, dall’altro lato, ha introdotto la Cnc che permette all’imprenditore, su base volontaria, di chiedere la nomina di un esperto indipendente che agevoli le trattative con i creditori.

Contemporaneamente alla richiesta della nomina dell’esperto, l’art. 6 permette all’imprenditore in crisi di chiedere, con la stessa l’istanza presentata telematicamente o con successiva istanza, l’applicazione di misure protettive del patrimonio. In pratica, con l’accesso alla Cnc l’impresa può chiedere il blocco delle azioni esecutive, con l’effetto di sospendere anche i pagamenti dei debiti pregressi. Per ottenere tale possibilità, l’istanza deve essere pubblicata nel registro delle imprese unitamente all’accettazione dell’esperto nominato dalla commissione preposta, istituita presso le Cciaa sede di capoluogo. Dal giorno della pubblicazione, i creditori non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. Tali misure operano anche nei confronti del fisco, se richiesta la misura cautelare verso l’Agente della riscossione. Tuttavia, l’automatic stay dei pagamenti non è assoluto e per avere una durata ragionevole (fino a 120 gg prorogabili) il debitore deve presentare apposita istanza al tribunale che deve confermare le misure cautelari.

Ottenere le misure cautelari con la Cnc non è però così semplice, in quanto la domanda di nomina dell’esperto e la istanza da presentare al tribunale per la conferma delle misure cautelari richiedono la predisposizione di documentazione specifica che necessita di tempo per la redazione e per ottenerla. Se poi si considera che tra la documentazione da allegare vi sono alcune certificazioni rilasciate proprio dall’Agenzia delle entrate e che questa si riserva 45 giorni per consegnarle, ecco che si comprende che chiedere le misure protettive della Cnc per proteggersi dalle azioni del fisco può risultare inadeguato. Le misure protettive della Cnc posso richiedere, infatti, sino a 50 giorni per essere operative (si veda tabella). Se a questo si aggiunge la stretta di controllo che i tribunali stanno applicando per la conferma delle misure protettive (ex art.7 Cnc), si arriva all’evidenza che per rischiare di perdere tempo e non ottenere i benefici che la Cnc dovrebbe apportare per la tutela della continuità aziendale, gli imprenditori hanno come possibile e sensata soluzione il concordato preventivo con riserva (Cpr), ex art. 161, co. 6, lf., che con un’istanza assai più snella e, nel giro di 24 ore dal deposito in cancelleria del ricorso, che permette di ottenere il divieto di iscrivere pignoramenti e iniziare o proseguire azioni esecutive. L’istanza di Cpr, infatti, una volta depositata deve essere iscritta a cura del cancelliere nelle 24 ore successive nel registro delle imprese e da quel momento produce gli effetti automatici ex art. 168 lf. Effetti che valgono sempre anche per l’Agenzia delle entrate e della riscossione. Con il Cpr c’è poi la possibilità di chiedere la omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti anziché proseguire con il concordato preventivo pieno (ex art. 160 lf) e in entrambi i casi è possibile proporre la transazione contributiva e dei debiti erariali (art. 182 ter lf), che permette lo stralcio sino alla misura non inferiore a quanto il fisco e gli enti previdenziali otterrebbero nell’alternativo fallimento.
Fonte:
logoitalia oggi7