Anna Messia
Anche la commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, presieduta da Carla Ruocco, scende in campo nella guerra per la governance di Generali. Gli uffici della Ruocco, come MF-Milano Finanza è in grado di anticipare, hanno convocato in audizione, il prossimo martedì 5 aprile, il group ceo della compagnia, Philippe Donnet. L’intenzione è «svolgere un’attività di approfondimento sulle recenti dinamiche di governance e azionarie» che hanno coinvolto Generali e, tra le tante cose, la commissione chiede informazioni sulle «attività svolte dal consiglio uscente che hanno portato alla presentazione di una lista di candidati», e sulle «interlocuzione avute con le varie autorità di vigilanza, i relativi esiti nonché gli approfondimenti in corso». Non solo. A Donnet chiede anche «le motivazioni che hanno condotto Generali a sospendere Luciano Cirinà» dopo che il manager avrebbe chiesto, e non ottenuto, l’aspettativa. La Commissione d’inchiesta, insomma, vuole fare chiarezza sugli ultimi fatti successi a Trieste proprio mentre la partita per la gestione della compagnia è entrata nel vivo. Il mercato ha iniziato a chiedersi se sia meglio la prudenza di Donnet, che dal 2016 a oggi ha dato alle Generali buoni rendimenti e ottime cedole, o se si può fare di più, spingendo su taglio dei costi e acquisizioni, affidando il timone del Leone a Cirinà, fino a qualche giorno fa alla guida delle partecipate dell’Austria e dell’Est Europa. Domanda che troverà risposta solo il 29 aprile con l’assemblea di bilancio che dovrà votare i nuovi vertici. L’attuale consiglio di amministrazione è pronto, come noto, a ricandidare Donnet per un terzo mandato, affidando la presidenza a una figura di indubbio valore come Andrea Sironi; mentre venerdì 25 marzo, i manager candidati dalla lista contendente, messa a punto da Francesco Gaetano Caltagirone (primo azionista privato con più del 9%), ovvero Cirinà come a.d. e Claudio Costamagna come presidente, hanno alzato il velo sul loro piano. Non un vero e proprio business plan, hanno subito chiarito, ma una strategia, costruita per ora dal di fuori, senza poter definire con precisione le leve su cui agire. Il piano vero e proprio, arriverà solo tra sei mesi sempre che la lista di Caltagirone riesca a ottenere il maggior numero di voti in assemblea. Gli azionisti, però, dovranno decidere ben prima di sei mesi ed è indubbio che le promesse arrivate dai manager scelti da Caltagirone siano accattivanti e che, dopo la guerra dei legali e delle authority, con ricorsi da entrambe le parti in causa, ora in Generali è arrivato il momento della guerra dei numeri. «Awakening the Lion», ridestare il Leone, questo il nome del programma della lista di candidati del gruppo Caltagirone per Generali, punta a utili 2024 pari a circa 4,2 miliardi e a una generazione di cassa cumulata nel periodo 2022-2024 per circa 9,5-10,5 miliardi, assai più alta degli 8,5 miliardi promessi da Donnet. Pure sul fronte dell’utile per azione dal 6-8% indicato dall’attuale group ceo i manager scelti da Caltagirone vogliono arrivare al 14%, sia attraverso operazioni di carattere organico, in parte già avviate (oltre l’11%) sia non organiche. Non solo. Sul fronte degli investimenti tech Cirinà ha parlato di 1,5-1,6 miliardi dedicati alla trasformazione digitale e tecnologica, rispetto agli 1,1 miliardi previsti da Donnet che rappresentano un aumento del 60% rispetto all’ultimo ciclo strategico. Poi c’è un obiettivo di riduzione dei costi annui fino a 600 milioni, arrivando a comprimere il rapporto cost/income al 55% rispetto al 63,7% dei 2021 e al traguardo del 60,7% indicato da Donnet. L’accelerazione maggiore proposta dal tandem Costamagna-Cirinà arriva però, come ci si immaginava, dalle acquisizioni a cui i vertici designati potrebbero destinare fino a 7 miliardi rispetto ai 2,5-3 miliardi previsti dal piano Lifetime partner dell’attuale ceo della compagnia. Una parte consistete di questi fondi (2-2,5 miliardi) arriveranno però da un maggiore indebitamento e si guarderà a un numero limitato di operazioni di maggiori dimensioni invece che a deal più piccoli. Cirinà, parlando con gli analisti, ha ventilato due occasioni importanti che sono sfuggite a Generali in passato, ovvero Aviva in Polonia e Pioneer. Costamagna non ha neppure escluso possibili aumenti di capitale se ce ne fosse bisogno per un’operazione importante ancora più grande, e poi ha più volte citato Mario Greco, ex ad di Generali e ora a capo di Zurich, come buon esempio da seguire, alimentando le voci di chi immagina che in un futuro non troppo lontano Generali potrebbe realizzare un’operazione con l’assicurazione elvetica se Caltagirone dovesse vincere questa partita. Ma ora la vera domanda è capire quanto siano realizzabili gli obiettivi di Cirinà e su questo gli analisti sono decisamente freddi. In Bnp Paribas Exane dubitano per esempio della credibilità del piano, anche perché fatto dall’esterno della compagnia, in Citi hanno puntato il dito sull’aumento dell’indebitamento e sull’incremento degli investimenti in tecnologia, che non si capisce come saranno spesati, in Kepler Cheuvreux sono cauti sulle grandi operazioni mentre in Kbw, a commento del piano parlavano della soluzione di problemi che «non siamo convinti esistano». Giudizi che sembrano quindi promuovere la prudenza di Donnet rispetto alle ambizioni di Cirinà, ma c’è già un’altra guerra dei numeri pronta ed esplodere. Quella tra gli azionisti per contare i voti all’assemblea di aprile: Caltagirone, oltre al suo 9%, potrà fare affidamento su Leonardo Del Vecchio (6,62%) e forse su Crt (1,7%) e sui sui Benetton che di Generali detengono il 3,9%, arrivando a ridosso del 22%. Dall’altra c’è Mediobanca che sostiene la lista del consiglio e che tra quote dirette (12,8%) e prestito titoli (4,4%) arriva al 17,2%, cui aggiungere il pacchetto di De Agostini (l’1,44%). Poi dovrebbe esserci la terza lista, quella di Assogestioni. Fondamentale sarà il voto degli investitori istituzionali e del retail, ma anche dei tanti manager e degli agenti della compagnia, che messi insieme rappresentano una quota non trascurabile del capitale. Il tasso di partecipazione atteso quest’anno è ben più alto del 54% del 2019. C’è chi arriva ad ipotizzare fino al 70% di capitale presente o rappresentato. (riproduzione riservata)

Le scelte difficili di Fondazione Crt e il lavoro delle diplomazie in vista dell’assemblea della compagnia

di Luca Gualtieri
Per fare le cose, occorre tutto il tempo che occorre. Da democristiano di ferro Giovanni Quaglia sembra essersi ricordato delle parole di Aldo Moro in questa fase cruciale per la sua presidenza in Crt. La fondazione torinese è uno dei protagonisti della partita che, da sei mesi a questa parte, si sta disputando per la governance delle Generali (di cui detiene l’1,7%) e che arriverà a una svolta cruciale con l’assemblea del 29 aprile. Schierandosi al fianco di Francesco Gaetano Caltagirone e di Leonardo Del Vecchio, Crt ha assunto una posizione senza dubbio inedita (qualcuno direbbe perfino irrituale) per una fondazione. Una scelta che nelle prossime settimane sarà chiamata a confermare. Il cda dovrà infatti decidere se appoggiare o meno la lista presentata dal costruttore romano che candida alla presidenza della compagnia Claudio Costamagna e alla guida Luciano Cirinà. Non è un mistero che, al vertice dell’ente, si confrontino posizioni differenti. Se mai ve ne fosse stato bisogno, lo ha dimostrato il pronunciamento della Commissione Patrimonio e Finanza che, con una maggioranza di quattro consiglieri su sei, si è espressa a favore dell’astensione in assemblea. Sia chiaro: il voto della Commissione ha fornito solo una raccomandazione che non vincola il cda. La divergenza di vedute ai piani alti è però evidente. In questo contesto Quaglia e il segretario generale Massimo Lapucci proveranno a ricompattare il vertice, usando appunto tutto il tempo che occorre. Per adesso infatti non è stata convocata alcuna riunione del board che anzi potrebbe esprimersi formalmente solo nella seconda metà di aprile. Nel frattempo l’ambizione di Quaglia (il cui mandato scadrà nel 2023) sembra essere quella di aggregare una maggioranza che blindi il voto in cda ed eviti quindi indesiderati cambi di rotta. Anche nelle previsioni più rosee però l’unanimità appare un obiettivo fuori portata e bisognerà mettere in conto un certo numero di voti contrari. Sempre che la composizione del board non cambi nelle prossime settimane a seguito di qualche defezione.

Aprile sarà tempo di scelte anche per gli altri soci di riferimento delle Generali. Questo vale per Del Vecchio (6,62%) che, se certamente ha obiettivi in comune con Caltagirone, non si è comunque ancora espresso su lista e piano. Quanto ai Benetton (4%), malgrado le indiscrezioni che si sono rincorse negli ultimi mesi, il gruppo non è finora uscito allo scoperto. Viene insomma da pensare che anche a Ponzano Veneto sia in auge la morale morotea seguita a Torino: per fare le cose, occorre tutto il tempo che occorre. Attenzione però: la sabbia nella clessidra sta per finire. (riproduzione riservata)

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