Qualcuno ha fatto anche un paragone calcistico tra la nazionale di Mancini e il team che venerdì 25 si è presentato agli investitori per spiegare le proprie idee sulla conduzione delle Generali nei prossimi tre anni, in vista del rinnovo dei vertici previsto il 29 aprile. I componenti del team erano di primissimo ordine; il gioco espresso non ha consentito di fare goal.Del resto, è comprensibile: era la prima volta che Francesco Gaetano Caltagirone, uno degli uomini più ricchi d’Italia e ideatore della lista alternativa a quella del Cda delle Generali, partecipava a una riunione in pubblico insieme a Claudio Costamagna, candidato alla presidenza e Luciano Cirinà, prospettico amministratore delegato. Il gioco delle parti, il passarsi la palla in modo efficace, sarà senza dubbio migliorabile man mano che l’assemblea si avvicinerà.In attesa di leggere le analisi più complete degli esperti, quali sono i cardini della presentazione (che rischia di tradursi anche in una giusta causa invocabile dalle Generali per terminare il rapporto di lavoro con Cirinà, per come funzionano le cose e i contratti di lavoro nel mondo dei grandi gruppi) dei tre protagonisti della lista Caltagirone & friends?

Maggiori profitti. È il punto più importante, ovviamente. La lista alternativa, se eletta, conta di poter far crescere i profitti del gruppo a un tasso medio del 14% dal 2021 al 2024. Obiettivo ambizioso se si pensa che Allianz (numero uno) ha nel suo piano un 5-7% e Philippe Donnet, Ceo attuale delle Generali, si pone su un +6-8%. Come raggiungerlo? La sintesi è indicata a pag. 39 della presentazione, forse la slide più interessante perché rimarca punto per punto le differenze tra le due liste. Di questo +14%, il 3% si ricava dalle acquisizioni fatte da Donnet nel 2021 e dal buyback del 2022. Quindi qui la nuova lista si basa su cose fatte da altri. Un altro 3-4% deriverà dalla marcata campagna di m&a che i nuovi vertici intendono intraprendere e infine l’8-9% deriverà dagli sforzi di efficientamento del nuovo management, soprattutto sul lato del costi. Quindi a parità di perimetro, la crescita interna originata dal nuovo management sarà non lontana da quella presentata da Donnet: 8-9% contro 6-8%. Ma è sulla strada indicata per come arrivarci che qualche perplessità sorge: lo stesso piano Donnet nella parte della riduzione dei costi era stato giudicato dagli analisti piuttosto aggressivo. Nel piano presentato dalla lista alternativa, sono previsti 600 milioni di risparmi lordi in tre anni: realizzarli in un mondo che sta diventando sempre più inflazionistico rischia di essere molto arduo. Dal punto di vista dei ricavi, il piano presentato evidenzia un ruolo crescente dell’asset management, che per Caltagirone rappresenta una conversione: nel 2017, quando il cda decise di entrare nel settore, fu proprio lui a mostrare grande preoccupazione e suggerire grande prudenza nell’investire capitali in un’attività diversa da quella core della Compagnia.

Acquisizioni e fusioni. È un tema su cui in passato più volte Caltagirone ha battuto, per criticare l’eccessiva prudenza con cui Generali guardava fuori di casa. Nel piano sono previsti appunto profitti che deriveranno dalle società che saranno acquisite. Quante munizioni ha Generali per poter comprare? Secondo il piano Donnet la generazione interna di cassa, una volta pagati i dividendi, consentiva un arsenale di 3-3,5 miliardi a fine piano. Il nuovo management intende far salire quella dotazione a 7 miliardi. In che modo? In parte grazie ai maggiori profitti che arriveranno, in parte vendendo qualcosa che non serve e in parte facendo più debiti. La parola debito fa rizzare le antenne agli analisti, quindi è stato chiesto di quanto si pensa di indebitare la compagnia. La risposta in sala è stata circa 2,5-3 miliardi. Come fare senza che le agenzie di rating abbassino il giudizio sull’azienda, rendendo quindi tutte le cose più difficili? Secondo il management, il rapporto debiti/mezzi propri delle Generali è più basso rispetto ai principali concorrenti. Se però si entra un po’ nel dettaglio, nei mezzi propri di un gruppo assicurativo è considerato anche il Vif (Value in force) ovvero il valore rappresentato dagli utili futuri dei contratti assicurativi della compagnia. Nel caso Generali, questo Vif risulta più alto dei concorrenti, quindi il confronto non è tra pari e il recupero è più difficile, se non si vuole rischiare un downgrade. Per Generali la questione del debito è poi particolarmente sensibile: per anni gli analisti e le agenzie avevano puntato sulla necessità di fare de-leverage, ovvero diminuire i debiti e l’opera dei precedenti amministratori delegati era andata in questa direzione. In un mondo in cui i tassi bassi sembrano sempre più in via di estinzione c’è da chiedersi se sia il momento più adatto per ricominciare a indebitarsi.

Ma quale m&a, poi? Qui Costamagna ha indicato un obiettivo di investimento di 4,5 miliardi per ottenere appunto profitti per 0,3-0,5 miliardi nel periodo del piano. Implicitamente, si è dato un range di acquisti di 9-15 volte i profitti attesi. Costamagna è un’autorità assoluta in materia e quindi c’è da credergli se dice che in giro per il mondo ci sono affari da cogliere: ma a valutazioni così basse occorrerà un grande sforzo di fantasia. Cirinà poi non ha risposto alla domanda di un analista indipendente che gli faceva notare che forse i migliori affari di m&a che si potevano fare negli anni passati erano venuti proprio dalla Polonia, quindi sotto la sua gestione, ed erano entrambi sfumati.

Governance. È l’altro tema forte della lista. Battendo molto sui conflitti di interesse e sulle parti correlate. Le proposte sono varie e interessanti, soprattutto partendo da una critica alla procedura Opc (operazioni con parti correlate) giudicata troppo lasca. Ma quella procedura è stata modificata l’ultima volta nel giugno 2021 su proposta dell’allora presidente del Comitato Opc Paolo Di Benedetto, ex commissario Consob e consorte del legale della famiglia Caltagirone, quindi al di sopra di ogni sospetto, e approvata all’unanimità (quindi anche da Caltagirone) in cda. Oggi non va più bene e sicuramente sarà migliorata. A questo proposito, nella intervista al Sole 24 ore del 25 marzo Caltagirone parla di «investimenti finanziari ordinari» del Leone che a prescindere dall’importo, attualmente non passano dal Comitato parti correlate, suggerendo che in futuro il regolamento Opc sarà modificato in senso fortemente restrittivo, onde evitare «che i conflitti di interesse pesino sulle scelte di voto in assemblea». Forse Caltagirone dovrebbe precisare meglio il suo pensiero, perché a una lettura superficiale sembrerebbe che i soldi dei clienti che Generali dà in gestione a colossi italiani e internazionali abbiano sullo sfondo in qualche caso un do ut des in assemblea a favore del management. Il che, conoscendo le muraglie cinesi di cui le sgr sono dotate e la sensibilità sul tema dei capi delle società di asset management mondiali, non depone molto a favore di chi sta chiedendo voti proprio ai grandi investitori di tutto il mondo.

Le altre novità riguardano la costituzione di un Comitato esecutivo, un lead indipendent director e il ripristino della figura del direttore generale. Tre figure che esistono in molte società e sono apprezzabili, anche se nel primo caso c’è il rischio di creare consiglieri di serie A (che sono nell’Esecutivo) e serie B (tutti gli altri) e nel secondo caso la figura del capo dei consiglieri indipendenti come figura intermedia è vista male dagli stessi indipendenti, che spesso ritengono di avere un rapporto limitato con i vertici aziendali. La figura del direttore generale infine è stata oggetto di aspre polemiche passate da parte di Caltagirone, che voleva introdurlo e voleva che fosse selezionato dal cda, mentre la prassi vorrebbe che fosse proposto dall’amministratore delegato e poi nominato o bocciato dal board. Sempre a proposito di governance, occorrerà spiegare al mercato quali saranno le deleghe del presidente Costamagna, una volta eletto: dalle risposte e dal ruolo che ha avuto nella prima apparizione pubblica della lista, si configura più come un presidente esecutivo che come uno privo di deleghe, figura questa ultima più gradita dall’Ivass (l’autorità regolatrice delle compagnie). (riproduzione riservata)

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