di Carlo Giuro
Il profilo del pensionamento al femminile costituisce uno dei principali argomenti nel tavolo di confronto in corso tra Governo e sindacati per delineare un nuovo intervento di riordino strutturale del sistema previdenziale italiano. Tra le proposte c’è il sostegno delle lavoratrici con misure adeguate, come con l’attribuzione di 12 mesi di anticipo per ogni figlio. Si vuole poi il pieno riconoscimento pensionistico del lavoro di cura non retribuito, una voce fondamentale del welfare del Paese. Le donne potrebbero poi beneficiare della possibile introduzione della pensione contributiva di garanzia e del rilancio della previdenza complementare. In attesa delle nuove misure, quali sono i canali di pensionamento utilizzabili dalle donne nel sistema obbligatorio? La possibilità ordinaria ed unisex è quella del pensionamento di vecchiaia per cui occorrono 67 anni di età e 20 anni di contribuzione (fino al 2024). Non si prevede la applicazione di finestre. C’è poi la pensione anticipata per cui per le donne sono necessari 41 anni e 10 mesi di anzianità contributiva con finestra mobile trimestrale (questo requisito rimane immutato fino al 2026). Solo per quest’anno va ricordata poi quota 102 con 64 anni di età e 38 di anzianità contributiva e una finestra di tre mesi per dipendenti private e autonome e sei mesi se dipendenti pubbliche.

Rivolto all’universo femminile è poi il canale di Opzione donna, prorogato dalla Legge di Bilancio 2022 per l’anno in corso, cui possono accedere le lavoratrici che abbiano maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2021. E’ necessaria un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni ed un’età anagrafica di almeno 58 anni (per le dipendenti) e a 59 anni (per le autonome). Si prevede una finestra mobile di 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome. Lo strumento di Opzione donna comporta però l’applicazione integrale del metodo di calcolo contributivo, quindi con possibile decurtazione dell’assegno rispetto al retributivo.

Sul fronte invece della previdenza complementare, su 8,4 milioni di iscritti alla previdenza complementare a fine 2020 (dati Covip), gli uomini sono il 61,7% e le donne il 38,3%; rispetto al 2017, quando era pari al 37,7%, si osserva una lieve crescita della componente femminile. La proporzione tra i generi si mantiene simile nelle diverse fasce di età, a eccezione la classe che raggruppa gli iscritti con meno di 19 anni, formata soprattutto da famigliari a carico, nella quale le donne raggiungono il 45,2%. La distribuzione è invece molto diversa tra le forme pensionistiche complementari: in quelle negoziali la componente femminile è sotto rappresentata (27%) mentre più equilibrio si registra nelle forme individuali dove raggiunge il 41,4% nei fondi aperti e il 46,5% nei pip (piani individuali pensionistici). La Covip sottolinea che la più bassa partecipazione delle donne alla previdenza complementare si spiega considerando la loro minore presenza tra le forze di lavoro: sulla base della popolazione in età lavorativa (15-64 anni), il tasso di attività delle donne è in media il 54,7% contro il 73,5% degli uomini, con un divario che resta ampio su tutte le età. Una volta entrate nelle forze di lavoro, esse partecipano comunque alla previdenza complementare con una propensione del 17% inferiore agli uomini, anche per effetto di divari salariali e carriere più discontinue che rendono meno agevole l’apertura e il regolare mantenimento di un piano di previdenza complementare. (riproduzione riservata)
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