Carlo Giuro
Le forme pensionistiche complementari rappresentano sempre più un fondamentale sostegno integrativo dei trattamenti erogati degli enti obbligatori di previdenza. Al contempo, essendo portatrici di quello che la Covip definisce capitale paziente, possono interpretare un importante ruolo come investitori istituzionali, anche per finanziare la ripresa economica nel post-Covid. MF-Milano Finanza ne ha parlato con Ivonne Forno, per anni direttore generale di Laborfonds, fondo pensione negoziale territoriale del Trentino-Alto Adige, e ora consigliere indipendente di Green Arrow Capital, gruppo finanziario specializzato in investimenti alternativi.

Domanda. Come possono i fondi pensione fronteggiare la forte ripresa dell’inflazione e proteggere il risparmio previdenziale degli aderenti?

Risposta. L’andamento della performance dei portafogli previdenziali, da valutare nel medio-lungo periodo, è il risultato di una serie di fattori e della loro combinazione. Per questa ragione anche la ripresa dell’inflazione comporterà impatti e dovrà essere adeguatamente gestita. La maggior parte degli esperti e delle case di gestione pare concordare rispetto alla previsione che i prezzi al consumo nei prossimi cinque anni saranno superiori a quelli dell’ultimo quinquennio. Riuscire a fare meglio del carovita -va ricordato incidentalmente che i fondi pensione utilizzano come primo benchmark di riferimento la rivalutazione del tfr in azienda, ancorato all’andamento del tasso di inflazione- nei prossimi 60 mesi sarà pertanto più difficile. Ma la ripresa dell’inflazione sarà solo uno dei tanti temi che i gestori dovranno saper presidiare al meglio nell’ambito di un approccio che dovrà essere sempre più integrato, anche fra gestione passiva e attiva, poliedrico, di alta diversificazione verso il mondo degli investimenti alternativi, innestato su una solida struttura di asset allocation strategica. Chiaro è che, essendo la componente obbligazionaria quella core dei portafogli previdenziali, il tema dell’aumento dell’inflazione non è affatto secondario.

D. Il venture capital può rappresentare una prospettiva di investimento per i fondi pensione?

R. Ritengo che, laddove ci siano i presupposti organizzativi e di masse per poter effettuare ragionamenti riguardo agli investimenti alternativi, gli stessi debbano essere considerati in rapporto agli obiettivi di medio-lungo periodo, nonché rispetto a quelli di diversificazione dei profili di rischio-rendimento delle singole componenti del portafoglio. Pertanto, il venture capital può rappresentare una prospettiva di investimento per i fondi pensione. La normativa non pone alcuna limitazione specifica al riguardo, e in alcuni fondi il venture ha già trovato spazio: la lunga durata degli investimenti pazienti è infatti esattamente ciò che serve per scommettere sulle start-up affinché gli stessi investimenti abbiano il tempo per crescere e svilupparsi esponenzialmente.

D. Il Pnrr ha tra i propri obiettivi l’investimento infrastrutturale. I fondi pensione possono avere un ruolo complementare?

R. Anche gli investimenti in infrastrutture sono coerenti con l’approccio di investitori pazienti di fondi pensione, casse di previdenza e assicurazioni. Peraltro il mondo delle infrastrutture è molto variegato al proprio interno: possiamo parlare di porti, aeroporti, autostrade, impianti di energia rinnovabile, storage di energia e dati, 5G, logistica, reti, digitalizzazione, smart city e molto altro. Si tratta sempre di considerare l’investimento all’interno di un contesto più ampio, tenendo conto della durata, del rischio, del rendimento.

D. Come si stanno muovendo invece i fondi pensione nei confronti del tema della sostenibilità e degli investimenti Esg?

R. Nel medio-lungo periodo, dall’analisi dei dati, emerge chiaramente il fatto che le aziende che attuano a livello di governance una politica improntata ai criteri Esg si dimostrano più performanti e resilienti. Sono conseguentemente da preferire nell’ambito dei portafogli di investimento. Il tema è caldo, bisogna porre molta attenzione alla sostanza e al processo di analisi e due diligence. Il rischio è quello del greenwashing: il sistema non se lo può permettere e nemmeno gli investitori, che sono chiamati a effettuare un percorso di crescita graduale al loro interno. Non ci sono regole o scelte che vadano bene per tutti: dipende molto anche dalle diverse anime, componenti e sensibilità. Certo è che, come in tutte le implementazioni di nuovi percorsi, si dovranno intraprendere iniziative graduali, finalizzate anche alla condivisione di buone pratiche di sistema. Su alcuni fronti si dovrà anche ricercare conversione e compattezza di approccio e di iniziative, al fine di poter beneficiare di risultati più significativi e consistenti, nell’interesse di tutti. Mi riferisco, nello specifico, all’esercizio del diritto di voto nelle assemblee delle aziende in cui sono stati effettuati gli investimenti.

D. L’investimento delle forme pensionistiche complementari può favorire anche lo sviluppo economico territoriale?

R. Sicuramente. La parola territoriale peraltro può trovare diverse declinazioni a seconda del punto di riferimento. Per una realtà come quella di Laborfonds territoriale è sinonimo di provinciale-regionale. Per un fondo nazionale, la parola sta a indicare l’Italia intera. La mia esperienza è stata più che positiva sia per quanto riguarda un fondo di private debt, che per uno di housing sociale, entrambi a vocazione territoriale e parte di un portafoglio poliedrico in investimenti alternativi, nel quale erano e sono presenti altri fondi con focus geografico differente. (riproduzione riservata)
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