LA GUERRA SUL CONTROLLO DELLA COMPAGNIA SCALDA IL TITOLO, SALITO DEL 3,7% A 20,14 EURO
di Anna Messia
Era dal 2008 che Generali non vedeva quota 20 euro. La guerra per la contesa del Leone ha però reso rovente anche il titolo, che ieri ha registrato una nuova crescita, +3,7%, arrivando a 20,14 euro. Sono giorni che le azioni della compagnia salgono, con scambi sostenuti e ieri lo scontro si è esteso tra l’altro anche alla politica. A un mese esatto dall’assemblea del 29 aprile che dovrà votare il nuovo vertice della prima compagnia italiana, ieri da Trieste hanno deciso di licenziare, con effetto immediato, l’ex numero uno dell’area Austria & Cee, Luciano Cirinà, candidato ceo della lista messa a punto da Francesco Gaetano Caltagirone, primo azionista privato con il 9%. Una mossa che era nell’aria dopo che venerdì 25 il manager, già precedentemente sospeso dal suo incarico, ha presentato al mercato, insieme al candidato presidente, Claudio Costamagna, un piano alternativo a quello del ceo Philippe Donnet, candidato dal cda per un terzo mandato, con Andrea Sironi alla presidenza, e sostenuto da Mediobanca (17,2% di cui 12,8% direttamente). Proprio ieri è iniziato il road show di Caltagirone negli Usa. Una decisione «motivata dalla violazione degli obblighi di lealtà e dalla grave violazione di altri obblighi previsti dal contratto di lavoro», hanno dichiarato da Generali e non si escludono nuove contese legali. C’è chi ipotizza addirittura che lo stesso Caltagirone potrebbe, a sua volta, promuovere in assemblea un’azione di responsabilità nei confronti della compagnia per il licenziamento del manager che guidava un’area oggi sotto stress per la guerra. Intanto dopo che, come anticipato da MF-Milano Finanza, la presidenza della Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Carla Ruocco, ha convocato in audizione Donnet il 5 aprile per avere informazioni sullo scontro che si è aperto a Trieste, la vicenda Generali è diventata motivo di scontro politico. Il deputato di Italia Viva, Luigi Marattin, ha presentato le dimissioni da membro della Commissione. «Da tempo ero in totale disaccordo con la conduzione della commissione», ha dichiarato Marattin, aggiungendo che la recente convocazione di Donnet «ha superato ogni limite. Alla vigilia dell’assemblea degli azionisti che dovrà eleggere in nuovo consiglio di amministrazione di una società privata, una delle due parti in competizione viene chiamata in audizione presso una commissione d’inchiesta per esporre dettagliate informazioni di bilancio, piani industriali e persino per chiedere conto di decisioni interne riguardanti la concessione dell’aspettativa a un proprio dirigente (Cirinà appunto che nei giorni scorsi si è visto respingere la domanda di aspettativa, ndr)».

Non è la prima volta che la politica interviene sulla questione Generali. Già il senatore Luciano D’Alfonso (Pd), a fine 2021, aveva presentato un ddl in base al quale nelle liste dei cda non potrebbero essere candidati soggetti in carica da sei o più anni. Una novità che, se approvata, avrebbe tagliato fuori Donnet dalla competizione e che, ad un certo punto, sembrava potesse essere inserita in un decreto, creando non poche polemiche. Anche questa volta la convocazione della Ruocco ha fatto rumore. Ieri Carlo Calenda si è schierato con Marattin: «neanche in Venezuela si manda una lettera come quella inviata dalla Commissione al management di un’azienda privata», ha detto il segretario di Azione in un tweet, ed altri membri della Commissione sarebbero pronti a chiedere la convocazione dell’altra parte in causa nello scontro su Generali. (riproduzione riservata)
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