GIÀ PRIMA DELLA GUERRA I MANCATI PAGAMENTI DELLE AZIENDE ERANO IN NETTA CRESCITA
di Luca Gualtieri
Se la guerra in Ucraina ha posto un’ipoteca pesante sulla ripresa economica italiana, già prima dell’invasione i rincari delle materie prime avevano iniziato a mettere sotto pressione i bilanci delle aziende. Un problema che evidentemente, nell’ultimo mese, ha potuto soltanto aggravarsi. A offrire un quadro della situazione è l’Osservatorio pagamenti di Cerved che, attraverso il database PayLine, mappa oltre tre milioni di imprese e offre un termometro per monitorare le condizioni di liquidità del tessuto produttivo. Già nel quarto trimestre del 2021, segnala il report, i rincari avevano cominciato a zavorrare le aziende più esposte al prezzo delle materie prime di tipo energetico e metallico, riducendo la capacità di sanare le esposizioni commerciali. Qualche numero? Alla fine dello scorso anno questi settori hanno visto crescere i mancati pagamenti che hanno toccato il 38,1% delle partite scadute complessive rispetto al 29,3% di fine 2020. Tra i comparti più colpiti Cerved cita la vendita di gas, la siderurgia, l’energia elettrica e la meccanica per la petrolchimica e il gas, sebbene il fenomeno dei mancati pagamenti abbia interessato anche attività penalizzate dall’onda lunga della crisi Covid come call center, trasporti ferroviari, industria discografica, maglieria, distillati & liquori ed editoria.

Sempre in relazione ai rincari, il report segnala che le province con il maggior aumento dei mancati pagamenti si concentrano prevalentemente nel Centro Sud. Al primo posto Cerved indica Matera, con il 56,9% di fatture non pagate, seguita da Catanzaro (57,5%), Fermo (50%), Ragusa (65,4%) e La Spezia (70,6%).

Se questo era il quadro alla fine dello scorso anno, il conflitto in Ucraina non potrà che peggiorare lo stato di salute di una larga fetta delle pmi italiane. Già in una precedente pubblicazione peraltro Cerved ha provato a stimare l’impatto della crisi internazionale sul rischio di default delle imprese. Si prevede infatti un peggioramento della rischiosità delle imprese non-finanziarie italiane con una probabilità di default media attesa a dicembre 2022 pari al 6,32%, in crescita sia rispetto al dato di dicembre 2021 (5,71%) sia rispetto alla stima espressa nel Credit Outlook 2022 nello scenario base (5,35%). La stima rivista per il 2022 si avvicina a quella riconducibile al downside scenario in cui si prevedeva una probabilità di default del 6,12%. Solo per dare un metro di paragone, una probabilità di default così alta era stata stimata solo all’inizio della pandemia anche se, grazie alle misure di sostegno messe in campo dal governo, non si era poi concretizzata. Alla base della revisione vi è proprio la crescente probabilità di un rallentamento del pil italiano dovuto all’acuirsi del conflitto in Ucraina, unitamente all’aumento sostenuto e non di breve respiro dei prezzi delle materie prime e dei costi energetici, con l’impatto diretto negativo sulle marginalità delle imprese e sui consumi delle famiglie. (riproduzione riservata)
Fonte: logo_mf