Anche grazie al rally dei mercati le ricchezze del settore in Italia hanno recuperato terreno (908 miliardi) superando il livello pre-pandemia. Nei portafogli di alto standing a farla da padrone sono gli investimenti legati all’economia reale
di Paola Valentini

I portafogli del private banking italiano hanno recuperato, anche se le tracce del Covid-19 restano. Sulla base dei dati a fine 2020, elaborati dall’Aipb (Associazione Italiana del Private Banking) per MF-Milano Finanza, gli asset dell’industria sono saliti ai massimi storici a 908 miliardi di euro, in aumento del 3,3% dagli 879 miliardi al 30 settembre 2020. L’evoluzione dell’ultimo anno ha visto un netto calo della ricchezza nel primo trimestre, quando è scoppiata l’epidemia, con le masse scese da 884 miliardi di fine 2019 a 811 miliardi a marzo (-8,2%), per poi risalire a 862 miliardi (+6,2%) a giugno, e quindi dell’1,9% a 879 miliardi a settembre. «La volatilità del primo trimestre 2020 ha avuto un effetto negativo molto marcato sul valore dei portafogli del private banking tipicamente più esposti ai mercati internazionali di quanto non lo siano i risparmi delle famiglie retail, effetto che però è stato compensato nella seconda parte dell’anno», spiega Antonella Massari, segretario generale dell’Aipb (che fotografa le famiglie con portafogli finanziari superiori a 500 mila euro). Il rilancio è arrivato dalla ripresa dei mercati. A inizio novembre nei mercati azionari è scattato un rally, che poi è proseguito anche a inizio 2021, grazie all’annuncio del lancio dei primi vaccini anti-Covid che sostengono le speranze di una ripresa dell’economia. Quindi il settore ha archiviato il 2020 superando per la prima volta la quota di 900 miliardi di masse. «L’effetto performance ha contato molto per il rialzo del valore dei portafogli nell’ultimo trimestre, anche se va comunque detto che la quota servita dal private banking è in lenta ma costante crescita, soprattutto nelle fasce patrimoniali più elevate», osserva Massari.

Un recupero reso possibile dall’ampia diversificazione dei portafogli con la quota della liquidità che è tornata subito su livelli medi. «Guardando alla composizione emerge che l’asset mix non ha registrato stravolgimenti e segnali di un’irrazionale corsa allo smobilizzo dei portafogli. La reazione al repentino mutamento di scenario è apparsa rapida, come dimostrato dalla tenuta della soddisfazione della clientela, intervistata nei mesi autunnali, e dalla razionalità del comportamento nelle scelte di investimento con una composizione degli asset gestiti dal private banking che ha visto rientrare, in un trimestre, l’anomala crescita del peso della liquidità sul totale e il ritorno a una composizione più favorevole al risparmio gestito e assicurativo», afferma Massari. Rispetto al dato di fine 2019 lo stock di liquidità (138 miliardi di euro) è rimasto attorno al 16% del portafoglio. Al contrario nell’allocazione media dei risparmi delle famiglie italiane al di fuori del private banking ha prevalso la prudenza come testimonia l’aumento dei depositi bancari saliti nel 2020 di oltre 180 miliardi fino a superare i 1.740 miliardi. «Anche il volume dei titoli di Stato, 50 miliardi, si è mantenuto costante, segno che le nuove emissioni a lungo termine dell’Italia non sono state considerate competitive in termini di rendimenti», aggiunge Massari.

La raccolta amministrata ha subito l’impatto maggiore, arrivando a perdere nel primo trimestre il 22,8% sulla componente azionaria e recuperando il 18,2% nel trimestre successivo. L’andamento della parte dei portafogli investiti in fondi ha mostrato le stesse dinamiche dell’amministrato. L’unica differenza da segnalare è sui fondi azionari, che tra marzo e giugno hanno beneficiato del miglioramento nei mercati rimbalzando del 23,6% a giugno e tornando a settembre sui livelli di fine 2019. Le gestioni patrimoniali hanno mantenuto valori stabili e il loro peso nei portafogli è rimasto attorno al 14%. Sul fronte delle polizze Vita, «l’arrivo della pandemia ha accelerato ulteriormente il processo di crescita del comparto, già in atto nei periodi precedenti nel segmento di fascia alta», rileva Massari. Rispetto all’allocazione a fine 2019, in un anno il valore assoluto della componente assicurativa è salito del 4,9% con un peso passato da 22 al 22,5% dei 908 miliardi complessivi. «Il sentiment che si riscontra nelle famiglie benestanti è molto simile alla media delle famiglie italiane: prevale la preoccupazione per il futuro, ma le prime, a differenze di queste ultime, nonostante lo scenario avverso, hanno una propensione decisamente inferiore a detenere molta liquidità perché continuano a credere nel valore degli investimenti e conservano il giudizio positivo sulle aziende italiane, pur consapevoli che una ripresa vera dei consumi e degli investimenti si avrà solo con il dissolversi dell’incertezza e con politiche economiche efficaci e credibili», spiega Massari.

Uno strumento su cui c’è molto interesse per il ruolo che i grandi patrimoni potrebbero svolgere, con la consulenza delle private bank, nel convogliare ricchezza verso l’economia reale è quello dei fondi chiusi. Ma il loro peso resta marginale, in attesa che la norma fiscale sui Pir Alternativi, modificata più volte nel 2020, imprima una accelerazione nella gamma di offerta accessibile alla clientela retail. «Anche se esistono canali come le piattaforme crowdfunding o il club deal, il fondo resta lo strumento principe se si vogliono far arrivare consistenti risorse all’economia», dice Massari. Ma la soglia di accesso ai fondi chiusi retail di 500 mila euro non aiuta. «Sarebbe opportuno abbassarla a 100 mila euro con peso del 20% sul portafoglio. L’Italia non ha un peso rilevante come all’estero di investitori istituzionali, sono invece tante le ricchezze private», continua Massari. D’altra parte la propensione a investire sull’Italia esiste. Con il Covid-19 l’economia reale, in particolare l’industria, è tornata ad essere considerata la vera ricchezza di un Paese. «Alcune delle produzioni sono ritenute strategiche, non possono e non devono finire fuori dal territorio nazionale o in mani sbagliate: cresce rispetto al passato il numero di famiglie benestanti che ritiene che l’Italia abbia bisogno di proteggersi maggiormente e ritiene importante che la manifattura venga tutelata dallo Stato. Tuttavia solo una minoranza ritiene opportuno che i risparmi delle famiglie vadano a finanziare l’incremento di debito pubblico necessario per assicurare sussidi e garanzie alle imprese. Al contrario, secondo le famiglie benestanti buona governance e sostenibilità sembrano essere chiavi attraenti per gli investimenti privati diretti e indiretti in economia reale», conclude Massari. (riproduzione riservata)

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