Sui Piani Individuali alternativi, nati nel 2020, sono riposte le speranze per il rilancio delle pmi dopo la pandemia. Per realizzarli le sgr italiane hanno scelto la veste Eltif. Intanto c’è chi preme per usare lo strumento del fondo chiuso
di Paola Valentini
Il 2021 sarà l’anno giusto per il decollo degli Eltif? Molti ci sperano. L’avvio in Italia dei fondi chiusi per il retail dedicati all’investimento in pmi italiane ha coinciso con un periodo critico per l’economia tricolore. Gli European long term investment fund (fondi di investimento europeo a lungo termine) sono stati voluti dall’Ue per incanalare il risparmio privato alle piccole e medie aziende non quotate a corto di finanziamenti del canale bancario, ovvero sui cosiddetti private market (che si differenziano dai mercati pubblici degli strumenti negoziati nelle borse). E per allargare la platea di potenziali investitori è stata fissata una soglia di accesso piuttosto bassa, dai 10 mila euro, dando così ai risparmiatori con disponibilità non elevate la chiave d’accesso al mondo riservato ai grandi fondi di private equity che promette rendimenti più elevati dei tradizionali asset quotati a fronte però di una illiquidità ben superiore (proprio per evitare che finiscano in mani sbagliate non possono rappresentare più del 10% del portafoglio di chi ha meno di 500 mila euro). Anche se in Europa esistono dal 2015, gli Eltif hanno debuttato di fatto in Italia nell’anno della pandemia.

Nel Paese l’innesco è stato il decreto Rilancio del maggio 2020 che lanciato i Pir alternativi (Piani individuali di risparmio) con l’obiettivo di renderli lo strumento rivolto ai risparmiatori per investire nelle non quotate, accanto ai Pir ordinari che invece sono fondi aperti esposti sulle società di Piazza Affari. I Pir alternativi sono la cornice scelta per far decollare gli Eltif in Italia perché possono essere creati sotto questa forma, anche se possono assumere altre modalità, sempre chiuse, come ad esempio fondi di private equity o di fondi di debito. I Pir alternativi rappresentano l’evoluzione dei Pir ordinari, strumenti creati nel 2017, che nei primi due anni di vita hanno avuto un boom di raccolta grazie all’esenzione fiscale dei rendimenti a patto di investire il almeno il 70% del patrimonio in pmi italiane (di cui il 25% in aziende non presenti sul Ftse Mib e il in 5% small cap). Nel 2019 la loro raccolta si è bloccata per via di variazioni normative che hanno reso complesso l’investimento, modificate nel 2020, ma poi è arrivata la pandemia che ha tenuto lontani gli investitori dalle azioni. E quest’anno con la ripresa in vista sostenuta dal Recovery Fund i Pir ordinari cercano la via del rilancio forti delle loro agevolazioni: chi li detiene per cinque anni non è tassato sui capital gain per un importo fino a 30 mila euro di investimenti all’anno per un totale di 150 mila euro, oltre all’assenza della tassa di successione. La normativa italiana ha concesso le stesse agevolazioni ai Pir alternativi, anche se la soglia di esenzione fiscale è dieci volte maggiore: 300 mila euro all’anno per un totale di 1,5 milioni.

Anche gli Eltif europei sono nati con un focus sull’investimento in pmi (il 70% va investito in azioni o bond di aziende non finanziarie non quotate o quotate con capitalizzazione sotto ai 500 milioni di euro) e la normativa italiana ha previsto come possibile modalità di realizzazione di un Pir alternativo quella dell’Eltif perché prevede un 70% del portafoglio investito in strumenti finanziari di aziende italiane o con stabile organizzazione in Italia di piccole dimensioni ovvero non presenti negli indici Ftse Mib o Ftse Mid Cap. Almeno sulla carta quindi gli elementi per un debutto scintillante c’erano tutti. Eppure in autunno se ne contavano meno di una decina e oggi siamo arrivati a una quindicina. In Europa hanno avuto ancora meno successo. A livello europeo, Efama certifica che ne sono stati istituiti circa 28, con masse in gestione mediamente inferiori a due miliardi di euro. «Numeri che attestano come il regolamento Eltif non abbia ancora raggiunto l’obiettivo di stimolare gli investimenti europei a lungo termine nell’economia reale, afferma Assogestioni. Non a caso la Commissione europea ha avviato una consultazione sulla revisione del quadro normativo Eltif i cui esiti sono attesi entro settembre.

Intanto in Italia i Pir alternativi hanno ricevuto un ulteriore vantaggio fiscale dalla Legge di Bilancio 2021: un credito di imposta del 20% nel caso di minusvalenze. Questo intervento potrebbe dare nuova verve ai Pir alternativi tanto che Equita si attende una raccolta netta di 2-3 miliardi l’anno nel giro di cinque anni. A di là dei benefici fiscali i rendimento attesi dei Pir alternativi in una fase di tassi ai minimi hanno il vantaggio di aumentare l’efficienza dei portafogli oltre a rappresentare risorse importanti per la ripresa del Paese nel post-Covid. A patto ovviamente di rispettare il profilo di rischio del cliente con l’ausilio del consulente che illustri potenzialità e obiettivi. Intanto in Italia si attendono le decisioni del Mef sui fondi chiusi, in particolare, come osserva Aipb, uno dei punti di snodo verte sulla soglia minima di accesso al retail che la stessa associazione del private banking propone di abbassare da 500 mila euro a 100 mila euro con un limite del 20% del portafoglio dell’investitore. «Un intervento del genere potrebbe aumentare l’offerta di fondi chiusi riservati che per ora è rimasta in attesa delle decisioni del Mef», afferma Antonella Massari, segretario generale dell’Aipb. Attualmente nei fondi riservati agli investitori professionali (possono essere aperti o chiusi, la differenza è che nel primo caso la raccolta avviene in una finestra temporale e nel secondo è continuativa) la normativa italiana prevede che il retail può accedere soltanto con un minimo di 500 mila euro e a patto che il regolamento del comparto preveda l’accesso. La ratio è che un importo così elevato non è accessibile a piccoli risparmiatori. I fondi non riservati invece possono definire qualunque soglia. Con riguardo agli Eltif, il regolamento del fondo può prevedere che esso sia riservato o meno e nel primo caso si applica il limite dei 500 mila euro per il retail. «È più facile dal punto di vista dei vincoli normativi creare un Pir alternativo sotto forma di fondo riservato rispetto a farlo sotto forma di Eltif perché quest’ultimo prevede maggiori vincoli di investimento e di leva», evidenzia Massari. (riproduzione riservata)

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