di a cura di Daniele Cirioli

Dieci scorciatoie per anticipare la pensione. Vie ordinarie (cioè previste dalle ordinarie norme di pensionamento) o premianti l’attività esercitata (come, per esempio, nel caso di lavorazioni usuranti) o legate al calcolo della pensione (opzione per il calcolo «contributivo» al posto di quello misto/retributivo) e scorciatoie che prevedono l’aiuto dello Stato (Ape sociale) oppure dell’azienda (isopensione e contratto di espansione). Con la Rita, infine, è possibile l’anticipo di una «rendita» (sulla futura pensione integrativa) anche mentre si è ancora al lavoro.

1) PENSIONE ANTICIPATA

La pensione anticipata (l’ex pensione di anzianità) ha la particolarità di consentire l’accesso al riposo sulla base di un solo requisito: quello contributivo. Il requisito è identico per tutti i lavoratori, ma alcune differenze riguardano la valutazione dei periodi contributivi per i lavoratori che hanno contributi versati al 31 dicembre 1995 (lavoratori che appartengono al regime «retributivo» o «misto» di calcolo della pensione) e lavoratori che hanno iniziato a lavorare e a versare anche i contributi dal 1° gennaio 1996 (lavoratori che appartengono al regime «contributivo»). In entrambi i casi fino al 31 dicembre 2026 le donne possono andare in pensione con 41 anni e 10 mesi di contributi e gli uomini con 42 anni e 10 mesi e si applica una finestra di tre mesi prima dell’accesso al riposo. Il che vuol dire, in sostanza, che «in pensione» ci si va con 42 anni e 1 mese le donne e con 43 anni e 1 mese gli uomini. Nel caso di lavoratori senza contributi al 31/12/1995 è possibile un’ulteriore uscita: a 64 anni di età con 20 anni di contributi.

2) PENSIONE CON QUOTA 100

È all’ultimo giro di boa, perché misura «sperimentale» limitatamente al triennio 2019/2021. Consente di andare in pensione anticipata maturando, appunto, «quota 100» con la somma di età (non inferiore ai 62 anni) e contributi (almeno 38 anni). Quota 100 sarà spendibile entro il 31 dicembre 2021, termine entro cui occorre maturare sia l’età e sia i contributi per garantirsi il diritto al pensionamento anticipato. In tale ipotesi non importa che entro la stessa data venga anche esercitato il diritto (cioè sia fatta la domanda di pensionamento): una volta conseguito il diritto (si ripete: entro il prossimo 31 dicembre), la relativa domanda di pensionamento potrà essere formulata anche successivamente (negli anni futuri).

I soggetti beneficiari

Possono avvalersi di quota 100 praticamente tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, inclusi i parasubordinati (co.co.co., professionisti senza cassa e altri lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps), sia del settore privato che pubblico. Per espressa previsione, invece, sono esclusi: il personale militare delle Forze armante; il personale delle Forze di polizia e polizia penitenziaria; il personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; e il personale della Guardia di finanza.

Utilizzabile il cumulo contributivo

Ai fini del conseguimento del diritto alla pensione con quota 100, chi risulti iscritto a due o più gestioni previdenziali dell’Inps (sono, pertanto, escluse le casse di previdenza dei professionisti con Ordini), può cumulare gli anni di contribuzione che abbia maturato presso le singole gestioni previdenziali, purché relativi a periodi non coincidenti. La facoltà è concessa in base alle regole del cosiddetto «cumulo contributivo», operativo dall’anno 2013 e da ultimo riformato dalla legge Bilancio 2017. Il «cumulo contributivo», pertanto, serve a maturare i 38 anni di contribuzione minima che occorrono, insieme a un’età non inferiore a 62 anni, «sommando» i vari periodi contributivi accantonati presso le diverse gestioni Inps.

Ritornano le finestre

Con quota 100 sono tornate le «finestre». La decorrenza della pensione, infatti, è stabilita alle seguenti decorrenze:

dopo una finestra di tre mesi dalla maturazione dei requisiti, per i lavoratori del settore privato che maturano quota 100 dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2021;
dopo una finestra di sei mesi dalla maturazione dei requisiti, per i dipendenti pubblici che maturano quota 100 nel periodo dal 30 gennaio 2019 al 31 dicembre 2021.
I dipendenti pubblici devono formulare domanda di collocamento a riposo con preavviso di sei mesi. Infine, per i lavoratori del comparto scuola (dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico, amministrativo e ausiliare) e del comparto Afam (Alta formazione artistica musicale e coreutica: raggruppa tutte le istituzioni il cui scopo è la formazione nei settori dell’arte della musica, della danza e del teatro. Comprende le Accademie di belle arti, le Accademie nazionali di arte drammatica e danza, gli Istituti superiori per le industrie artistiche, cosiddetti Isia, i conservatori di musica e gli Istituti superiori di studi musicali) valgono le ordinarie regole di pensionamento (art. 59, comma 9, legge n. 449/1997): a tali soggetti, cioè, ai fini dell’accesso al pensionamento, la cessazione dal servizio e la decorrenza della pensione hanno effetto dalla data d’inizio dell’anno scolastico o accademico dell’anno in cui vengono maturati i requisiti.

QUOTA 100RequisitiEtà anagrafica di almeno 62 anni e anzianità contributiva minima di 38 anni OperativitàOpera in via sperimentale per il triennio 2019-2021. Il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2021 può essere esercitato dopo tale data; pertanto, maturata quota 100 entro il 31 dicembre 2021, sarà possibile avere la pensione anche successivamente (dal 1° gennaio 2022)DecorrenzaLa decorrenza della pensione è stabilita:

il primo giorno del trimestre successivo alla maturazione dei requisiti, per i lavoratori del settore privato che maturano quota 100 dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2021;
dopo sei mesi dalla maturazione dei requisiti, per i dipendenti pubblici che maturano quota 100 tra il 30 gennaio 2019 e il 31 dicembre 2021
Quota 100 e divieto di cumulo del lavoro

È prevista l’incumulabilità della pensione «quota 100» con i redditi di lavoro dipendente o autonomo, a eccezione di quelli di lavoro autonomo occasionale nel limite di 5.000 euro lordi annui. L’incumulabilità si applica per il periodo intercorrente tra la data di decorrenza della pensione «quota 100» e la data di maturazione dell’età della pensione di vecchiaia, quindi fino a 67 anni ovvero quella che sarà la maggiore età in caso d’incremento per la speranza di vita. In caso di superamento del limite di 5 mila euro, la pensione è sospesa per tutto l’anno di produzione del reddito. Se il superamento c’è nell’anno di maturazione del requisito d’età per la pensione di vecchiaia, la sospensione opera fino alla maturazione di tale requisito (non per tutto l’anno).

Nell’illustrare la novità, l’Inps (circolare n. 11/2019) ha precisato che il «lavoratore autonomo occasionale», ai sensi dell’art. 2222 del codice civile, è colui il quale si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o servizio, con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione e senza coordinamento del committente; e che l’esercizio dell’attività deve essere del tutto occasionale, senza i requisiti dell’abitualità e professionalità. Si tratta, dunque, dei rapporti di lavoro che normalmente vengono gestiti con semplici notule di addebito e con applicazione della ritenuta d’acconto Irpef del 20%, senza contributo Inps, gestione separata, fino a cinque mila euro annui. L’Inps ha spiegato, inoltre, che i pensionati quota 100 devono dare immediata comunicazione dello svolgimento di qualsiasi attività lavorativa diversa da quella autonoma occasionale dalla quale derivi un reddito inferiore a 5.000 euro lordi annui; in tal caso, l’Inps procederà alla sospensione della pensione. Stessa comunicazione è dovuta anche in caso di lavoro autonomo occasionale da cui derivi, anche in via presuntiva, un reddito superiore a 5.000 euro lordi annui (limite di cumulabilità con la pensione quota 100).

QUOTA 100 E NUOVO LAVORODivieto di cumuloLa pensione quota 100 non si cumula con i redditi di lavoro dipendente o autonomo fino all’età per la pensione di vecchiaiaDerogaFanno eccezione al divieto i redditi di lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annuiAdempimentiIl pensionato quota 100 deve comunicare all’Inps lo svolgimento di una nuova attività di lavoroViolazione divietoIn caso di violazione del divieto, l’Inps sospende la pensione

3) ASSEGNO STRAORDINARIO FONDI DI SOLIDARIETÀ

I fondi di solidarietà bilaterali sono un’invenzione della riforma Fornero del lavoro (la legge n. 92/2012), che poi la riforma Jobs act (dlgs n. 148/2015) ne ha riscritto la disciplina. La loro istituzione è obbligatoria in tutti i settori non coperti dalla normativa in materia di cassa integrazione salariale.

I Fondi assicurano:

a) l’erogazione di prestazioni a sostegno del reddito in costanza di rapporto di lavoro (cioè prestazioni in tutto e per tutto simili alla cassa integrazione salariale;

b) prestazioni integrative, in termini di importi oppure di durata rispetto alle prestazioni pubbliche, in caso di cessazione dal rapporto di lavoro ovvero prestazioni integrative, in termini di importo, in relazione alle integrazioni salariali;

c) assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per la pensione di vecchiaia o anticipata nei successivi cinque anni;

d) contributi al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o dell’Unione europea.

Nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, i fondi di solidarietà bilaterali possono prevedere l’erogazione di un assegno straordinario per il sostegno del reddito a favore dei lavoratori che, aderenti a processi di agevolazione all’esodo, raggiungano e maturano i requisiti ordinari per il pensionamento di vecchiaia o anticipato entro i successivi cinque anni. Inoltre, è previsto che i Fondi possano erogare un assegno straordinario al reddito anche a quei lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per l’eventuale opzione di accesso alla pensione utilizzando quota 100 entro il 31 dicembre 2021.

4) LAVORATORI PRECOCI

Sono chiamati «precoci» i lavoratori che sono in possesso di almeno 12 mesi di contributi per periodi di lavoro effettivo prestato prima dei 19 anni d’età. Qualora versino in determinate situazioni (disoccupato, invalido, impegnato in attività usuranti o gravose oppure beneficiario di permessi della legge n. 104/1992, ecc.), i precoci possono accedere alla pensione anticipata con soli 41 anni di contributi. Fino al 31 dicembre 2026 sono abrogati gli incrementi della speranza di vita. Per cui il requisito unico contributivo resta fissato a 41 anni. In cambio, però, è applicabile una finestra di tre mesi per l’accesso alla pensione. Il prepensionamento precoci è opportunità operativa da 1° maggio 2017, introdotta dalla legge Bilancio 2017. La novità, come detto, non interessa tutti i lavoratori precoci, ma solo alcune categorie; in particolare, possono fruirne solo i lavoratori che sono precoci e, contemporaneamente, appartengono a una delle categorie espressamente individuate dalla legge Bilancio del 2017 (sono le categorie che vanno dai soggetti disoccupati a quelli che hanno svolto lavori usuranti e faticosi. Eccetto quest’ultima categoria, si tratta praticamente delle stesse categorie di lavoratori beneficiari dell’Ape sociale).

5) LAVORATORI USURATI

È il prepensionamento offerto ai lavoratori che hanno svolto o ancora stanno svolgendo lavori oppure attività usuranti, cioè caratterizzate da mansioni faticose o pesanti. Dall’anno 2016 e fino all’anno 2026, i requisiti agevolati sono indicati in tabella. L’ultima riforma c’è stata con la legge bilancio 2017 (art. 1, comma 206, della legge n. 232/2016) e la disciplina ne è risultata arricchita di due novità:

1) abolizione delle «finestre», che sopravvivevano per questi pensionamenti (si ricorda che le finestre sonno uno spazio temporale di mesi che il lavoratore deve attendere, una volta fatta la domanda, prima di ricevere la pensione), il che significa un anticipo dell’epoca di percezione della pensione di 12 mesi ai lavoratori dipendenti e di 18 mesi ai lavoratori autonomi;

2) sospensione, per gli anni dal 2019 al 2026, degli aumenti dei requisiti per la pensione in conseguenza all’adeguamento alla cosiddetta speranza di vita.

Inoltre, per l’applicazione del regime speciale di prepensionamento, ha previsto che l’attività usurante/faticosa/notturna sia (stata) svolta:

per almeno 7 anni, compreso l’anno di maturazione dei requisiti, negli ultimi 10 anni di lavoro; oppure
per almeno la metà della vita lavorativa complessiva (su 36 anni di lavoro, per esempio, per 18 anni almeno).
Ai fini del computo dei predetti periodi si tiene conto dello svolgimento «effettivo» dell’attività lavorativa con accredito di contributi obbligatori, includendo i periodi per i quali l’accredito contributivo obbligatorio risulti integrato da contributi figurativi ed escludendo, invece, i periodi totalmente coperti da contribuzione figurativa. Si tenga conto, inoltre, che non occorre che i periodi di svolgimento dell’attività usurante siano continuativi, né che nell’anno di perfezionamento dei requisiti pensionistici, o nell’ultimo anno di lavoro, l’interessato abbia svolto tale attività.

Per avere la pensione anticipata, il lavoratore deve prima ottenere il riconoscimento del diritto al beneficio da parte dell’Inps. A tal fine deve fare domanda alla sede territorialmente competente dell’Inps entro il 1° maggio dell’anno precedente quello durante il quale saranno maturati i requisiti (età, contributi, «quota») per il diritto al prepensionamento. In particolare, entro il prossimo 1° maggio 2021 vanno presentate le domande da parte dei lavoratori che maturano i requisiti agevolati nel corso dell’anno 2022.

In caso di accoglimento della domanda di riconoscimento del diritto, l’Inps comunica la prima decorrenza utile per la pensione; in caso contrario comunica il rigetto della richiesta. Positiva o negativa che sia, la comunicazione è fatta dall’Inps entro il 30 ottobre e si base, oltre che sulla verifica dei requisiti di lavoro, anche sulla verifica delle disponibilità di fondi pubblici. Per accedere alla pensione è necessario presentare la «domanda di pensione» vera e propria il cui accoglimento è subordinato alla sussistenza di altre condizioni di legge (per esempio, la cessazione del rapporto di lavoro dipendente).

6) OPZIONE DONNA

Dal 1° gennaio 2021, la misura è stata prorogata di un anno. Dà possibilità d’incrociare le braccia alle lavoratrici, dei settori pubblico e privato, dipendenti o autonome, che entro il 31 dicembre 2020 hanno compiuto 58 anni d’età se dipendenti o 59 anni se autonome, in presenza di almeno 35 anni di contributi. In cambio, però, ricevono la pensione calcolata con il sistema contributivo dopo una «finestra» di attesa di 12/18 mesi. Rispondendo negativamente alla domanda se sono utili, per maturare il requisito contributivo per opzione donna, anche i contributi figurativi per periodi di malattia e/o di disoccupazione (Naspi, Aspi, ecc.), l’Inps ha spiegato che, ai fini del perfezionamento del requisito di 35 anni, valgono: i contributi obbligatori (quelli versati durante l’attività di lavoro); i contributi da riscatto e/o da ricongiunzione; i contributi volontari; i contributi figurativi con esclusione di quelli accreditati per malattia e per disoccupazione. Ciò, ha aggiunto l’Inps, in considerazione del fatto che per tali lavoratrici l’applicazione del sistema contributivo è limitata alle sole regole di calcolo.

È stato ancora chiesto all’Inps di sapere se è possibile, per le lavoratrici che hanno maturato il diritto a un’altra pensione in base ai requisiti tempo per tempo vigenti, conseguire la pensione optando per il sistema di calcolo contributivo avvalendosi di opzione donna. L’Inps ha risposto affermativamente: la lavoratrice che ha maturato il diritto ad altro trattamento pensionistico, in base ai requisiti tempo pro tempore vigenti, può conseguire la pensione, al ricorrere dei previsti requisiti, con l’opzione donna.

Alle dipendenti pubbliche bastano 34 anni, 11 mesi e 16 giorni di contributi

Dopo la riforma Fornero, dal 1° gennaio 2012, il requisito dell’anzianità contributiva deve risultare maturato per intero per poter mettersi in pensione. Per esempio, se occorrono 20 anni di contributi, vanno maturati tutti e 20 gli anni per intero, senza possibilità di arrotondare all’eventuale frazione di mese, cosa possibile in passato (l’arrotondamento era previsto all’art. 59, comma 1, lett. b, della legge n. 449/1997).

Il divieto di arrotondamenti opera dal 1° maggio 2015 per i dipendenti pubblici, i soli ai quali i contributi erano ancora calcolati in anni, mesi e giorni e, tra questi, nello specifico, agli iscritti al fondo speciale del personale dipendente dalle ferrovie dello stato e al fondo di poste. Pertanto, dal 1° maggio 2015, nel determinare l’anzianità di contribuzione necessaria al conseguimento del diritto alla pensione con i nuovi requisiti della riforma Fornero, non è possibile operare alcun arrotondamento, per eccesso o per difetto, alla frazione di mese dal momento che l’anzianità deve essere maturata per intero. L’arrotondamento, invece, continua a operare soltanto nelle seguenti predeterminate ipotesi:

a) regime sperimentale «opzione donna» (servono 35 anni, ma basta maturare 34 anni, 11 mesi e 16 giorni);

b) ex pensione di anzianità al 31 dicembre 2011 per la quale sono richiesti 40 anni di contributi (basta aver maturato 39 anni, 11 mesi e 16 giorni);

c) salvaguardati che raggiungono il diritto alla pensione con 40 anni di contributi a prescindere dall’età (bastano 39 anni, 11 mesi e 16 giorni);

d) pensioni d’inabilità.

7) APE SOCIALE

Dal 1° gennaio 2021, la misura è stata prorogata di un anno. Si rivolge a chi compie, nel corso del corrente anno (e a chi li ha già compiuti anche negli anni passati), i 63 anni d’età, dando la possibilità di mettersi a riposo prima del tempo, in attesa di maturare l’età per la pensione di vecchiaia (67 anni fino al 31 dicembre 2022), con il riconoscimento di un sussidio mensile il cui importo massimo può arrivare a 1.500 euro lordi (a carico dello stato).

Due le scadenze per fare istanza di riconoscimento del diritto. La prima è al 31 marzo, la seconda al 15 luglio. Muoversi in tempo conviene: solo presentando domanda entro il 31 marzo si avrà diritto anche agli arretrati (da gennaio); altrimenti l’Ape decorrerà dal mese successivo alla richiesta. Chi farà domanda oltre il 15 luglio, comunque entro il 30 novembre, avrà l’Ape solo in presenza di risorse finanziarie sufficienti.

Queste le condizioni per il diritto:

a) aver cessato l’attività lavorativa;

b) non essere titolare di una pensione diretta;

c) trovarsi in una delle «particolari» situazioni tutelate (si veda paragrafo successivo);

d) far valere un minimo di 30 anni di contributi (36 anni per chi svolge attività cd «gravose»);

e) maturare una pensione di vecchiaia d’importo non inferiore a 1,4 volte l’importo della pensione minima dell’Inps (circa 722 euro mensili).

Le «situazioni» per il diritto

Potenziali interessati all’Ape sociale sono tutti i lavoratori iscritti all’Inps, compresi quelli della gestione separata. Il diritto si matura in una delle seguenti situazioni:

a) anzianità contributiva di almeno 30 anni e versare in stato di disoccupazione per licenziamento, dimissioni per giusta causa o per risoluzione consensuale intervenuta nell’ambito della procedura di licenziamento economico e aver concluso la fruizione, da almeno tre mesi, dell’intera indennità di disoccupazione spettante (Naspi, Dis-Coll, ecc.). Rientrano in questa categoria anche i lavoratori il cui stato di disoccupazione deriva dalla scadenza naturale di un contratto a termine, a patto che abbiano avuto, nei 36 mesi precedenti la cessazione del rapporto di lavoro, periodi di lavoro dipendente per una durata di almeno 18 mesi;

b) anzianità contributiva di almeno 30 anni e al momento della richiesta dell’Ape sociale assistere, da almeno sei mesi, il coniuge, la persona in unione civile o un parente di I grado, convivente, con handicap grave (ex legge n. 104/1992); ovvero i parenti di II grado (conviventi), qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto 70 anni d’età oppure siano anche loro affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti (divorziati, ecc.);

c) anzianità contributiva di almeno 30 anni ed essere riconosciuto invalido civile di grado almeno pari al 74%;

d) essere un lavoratore dipendente in possesso di anzianità contributiva di almeno 36 anni, che alla data della domanda di accesso all’Ape sociale svolge da almeno 7 anni negli ultimi 10, ovvero almeno 6 anni negli ultimi 7, in via continuativa, una o più delle previste attività gravose (si veda tabella).

Ai fini dell’individuazione delle patologie invalidanti, in presenza delle quali la domanda di verifica delle condizioni di accesso all’Ape sociale può essere presentata anche da parenti di 2° grado o affini entro il 2° grado, l’Inps ha spiegato che, in assenza di un’esplicita definizione di legge, si fa riferimento soltanto alle patologie a carattere permanente, vale a dire:

1) patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche;

2) patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali;

3) patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario.

Sconto speciale alle mamme

Uno sconto speciale è previsto a favore delle lavoratrici donne e, in particolare, alle «madri»: hanno diritto allo sconto di 1 anno del requisito contributivo di accesso all’Ape per ogni figlio, fino a un massimo di 2 anni. Ai figli legittimi sono equiparati quelli naturali e gli adottivi. Pertanto, le madri con due figli possono accedere all’Ape con 28 anni di contributi (34 anni, se risultano addette a lavori gravosi), mentre quelle con un figlio con 29 anni di contributi (35 anni per i lavori gravosi).

Due le domande

Il procedimento di riconoscimento e attribuzione dell’Ape sociale prevede la presentazione di due distinte domande, con tempistiche differenti. Per prima cosa occorre il riconoscimento del diritto. Cosa fatta dall’Inps, a seguito di domanda da parte dell’interessato, comunicando: il riconoscimento del diritto all’Ape con indicazione della prima decorrenza utile, ovvero con differimento della decorrenza (in caso d’insufficienza delle risorse finanziarie); rigetto della domanda, qualora non sussistano le condizioni per il diritto. A questo punto, se c’è diritto, il beneficiario può fare la seconda domanda, che è quella di liquidazione. Non c’è un termine; tuttavia, si tenga conto che l’Ape sociale verrà erogata a partire dal mese successivo a quello di presentazione della domanda.

LE PROFESSIONI GRAVOSEOperai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici Conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni Conciatori di pelli e di pellicce Conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante Conduttori di mezzi pesanti e camion Personale delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni Addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza Insegnanti della scuola dell’infanzia e educatori degli asili nido Facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati.Personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia Operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti Operai dell’agricoltura, della zootecnia e della pesca Pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare, dipendenti o soci di coopLavoratori del settore siderurgico di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature non compresi nel dlgs n. 67/2011Marittimi imbarcati e personale viaggiante dei trasporti marini e in acque interne

8) CONTRATTO ESPANSIONE

Introdotto dal Decreto Crescita, in via sperimentale, si rivolge alle grandi imprese, quelle che hanno più di 1.000 lavoratori e, in cambio di formazione e di nuove assunzioni, autorizza il licenziamento dei dipendenti prossimi alla pensione con uno scivolo di cinque anni, nonché a ridurre l’orario di lavoro agli altri lavoratori, che sono ripagati in parte con la Cigs (cassa integrazione guadagni straordinaria). La legge di Bilancio del 2021 (legge n. 178/2020) ha ridotto a 500 il requisito dei lavoratori richiesto alle aziende per beneficiare del contratto di espansione limitatamente all’anno 2021 (e a 250, sempre solo per l’anno in corso 2021, nel caso in cui si preveda anche il riconoscimento di un’indennità di accompagnamento alla pensione. L’Inps ha dettato le istruzioni operative con la circolare n. 48 del 24 marzo 2021.

La dimensione aziendale

Per il calcolo del requisito occupazionale si fa riferimento ai lavoratori occupati in media nel semestre precedente avendo riguardo alla singola impresa, anche se articolata in più unità sul territorio nazionale, e non ai gruppi di imprese o raggruppamenti temporanei di imprese. Dal calcolo vanno esclusi i lavoratori somministrati, i tirocinanti e gli stagisti. Il lavoratore assente anche se non retribuito (per esempio gravidanza) è escluso dal computo solo nel caso in cui in sua sostituzione sia stato assunto un altro lavoratore, nel qual caso va computato quest’ultimo. Nel calcolo della media, infine, vanno ricompresi nel semestre anche i periodi di sosta attività e di sospensioni stagionali; per le aziende di nuova costituzione il requisito va determinato in relazione solo ai mesi di attività, se inferiori al semestre (in maniera analoga nelle ipotesi di trasferimento di azienda).

Perché il contratto di espansione

Il contratto di espansione ha sostituito il contratto di solidarietà espansiva. Come accennato, è un intervento rivolto alle grandi imprese quale propulsore alla crescita interna e competitività in ambito esterno, interessate da azioni di reindustrializzazione e riorganizzazione di natura complessa tale da determinare, in tutto o solo in parte, la modifica dei processi aziendali, un progresso e lo sviluppo tecnologico dell’attività svolta. Infatti, è necessario (cioè obbligatorio), per le imprese richiedenti, prevedere e inserire espressamente nel «contratto di espansione» una programmazione delle assunzioni per le nuove professionalità e un progetto formativo e di riqualificazione del personale dipendente, al fine di modificare e aggiornare le competenze professionali possedute. Tutto ciò, e qui c’è la possibilità del prepensionamento, anche mediante un più razionale impiego delle risorse disponibili: il processo di formazione, in altre parole, può avvenire attraverso le riduzioni orarie del personale dipendente, integrate dalla Cigs e il licenziamento anticipato. Oltre a questo progetto, il contratto di espansione, avendo natura negoziale-gestionale, deve contenere anche alcuni altri elementi obbligatori.

Il percorso

L’impresa che intenda avvalersi del contratto di espansione (delle sue misure e agevolazioni), perché in possesso di tutti i requisiti soggettivi, deve prima di tutto avviare una procedura di consultazione sindacale, finalizzata (appunto) alla sua stipula. Una volta raggiunto l’accordo, il relativo atto insieme al «contratto di espansione» va sottoscritto in sede governativa, cioè in presenza del ministro del lavoro, presso la direzione generale dei rapporti di lavoro, con i sindacati comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o le loro rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) o rappresentanze sindacali unitarie (Rsu). In tale sede, il ministero del lavoro verifica che sia stato presentato il progetto di formazione e riqualificazione con il corredo della richiesta certificazione, la pianificazione delle riduzioni o sospensioni dall’orario di lavoro, la programmazione e il numero delle nuove assunzioni. Per l’avvio della procedura, inoltre, l’impresa è tenuta a quantificare l’onere finanziario per il costo della Naspi (indennità di disoccupazione a favore dei licenziati) e il costo dell’integrazione salariale (per i lavoratori interessati alla riduzione dell’orario di lavoro) ai fini della verifica, sempre a cura ministeriale, della sussistenza della copertura finanziaria dell’intervento.

Lo scivolo pensionistico (il pre-pensionamento)

In sede di accordo governativo, le imprese possono raggiungere anche un accordo di mobilità che, corredato dall’esplicito consenso all’uscita anticipata dei lavoratori, consente al datore di lavoro di risolvere il rapporto di lavoro e riconoscere ai lavoratori un’indennità mensile, incluso eventualmente il periodo di Naspi (di durata da 24 a 36 mesi, che si traducono in un cospicuo risparmio per le aziende), commisurata alla pensione lorda maturata dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, determinata dall’Inps.

Possono prestare il consenso all’uscita anticipata (al pre-pensionamento) i lavoratori che:

1. si trovino a non più di cinque anni dal conseguimento della pensione di vecchiaia;

2. abbiano maturato il requisito minimo contributivo;

3. si trovino a non più di cinque anni dal conseguimento della pensione anticipata.

A conti fatti, possono avvalersi dell’opportunità di pre-pensionamento i dipendenti:

con almeno 62 anni di età unitamente a non meno di 20 anni di contributi (pensione di vecchiaia;
con almeno 37 anni e 10 mesi di contributi (se uomini) ovvero 36 anni e 10 mesi (se donne), a prescindere dall’età (pensione anticipata).
Qualora il primo diritto a pensione sia quello previsto per la pensione anticipata, il datore di lavoro è tenuto a versare anche i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto, con esclusione del periodo già coperto dalla contribuzione figurativa a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro.

La riduzione dell’orario di lavoro

I lavoratori che, non avendo i requisiti richiesti, non possono aderire allo scivolo pensionistico e non hanno le adeguate qualifiche professionali o competenze tecniche all’implementazione delle modifiche dei processi aziendali, possono, secondo la programmazione aziendale, essere coinvolti nel contratto di espansione nella parte che prevede piani di formazione e percorsi di riqualificazione. A questi lavoratori si applica una riduzione oraria di lavoro con diritto a Cigs. La riduzione media oraria programmata non può essere superiore al 30% dell’orario di lavoro giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati dal contratto di espansione. Per ogni lavoratore, la percentuale di riduzione complessiva dell’orario può essere concordata, se necessario, fino al 100% nell’arco dell’intero periodo per il quale il contratto di espansione è stipulato. Lo stop dell’attività deve corrispondere alla programmazione di una formazione e riqualificazione del lavoratore interessato che ricopra l’intero periodo di sospensione. In linea generale non sono consentite prestazioni di lavoro straordinario per i lavoratori beneficiari del trattamento di integrazione salariale.

Diciotto mesi di Cigs extra

I diciotto mesi di Cigs sono extra, cioè fuori dai limiti di durata. Ai dipendenti che non possono fruire dello scivolo pensionistico, infatti, l’azienda può ridurre l’orario di lavoro, ricorrendo al periodo di cassa integrazione straordinaria. L’Inps ha precisato che la Cigs può essere richiesta per massimo 18 mesi anche non continuativi, che non sono conteggiati nel quinquennio di riferimento, poiché opera la deroga di tutti i limiti di durata, complessivi e specifici (artt. 4 e 22 del dlgs n. 148/2015). In tal caso la Cigs soggiace all’obbligo del contributo addizionale, la cui misura è pari a:

9% per le prime 52 settimane nel quinquennio mobile;
12% oltre le 52 e fino a 104 settimane;
15% oltre le 104 settimane.
È richiesto il requisito dell’anzianità di effettivo lavoro di almeno 90 giorni presso l’unità produttiva per la quale è richiesta la Cigs. Tra i destinatari della Cigs sono fuori: dirigenti; lavoratori a domicilio; apprendisti non professionalizzanti. È richiesto il requisito dell’anzianità di effettivo lavoro di almeno 90 giorni presso l’unità produttiva per la quale è richiesta la Cigs.

Alla Cigs si applica il termine di decadenza semestrale (art. 7 dlgs n. 148/2015). Pertanto, se anticipata dal datore di lavoro, è rimborsata dall’Inps ovvero conguagliata con i contributi obbligatori, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata dell’autorizzazione o dalla data del provvedimento di concessione, se successivo. Il termine di decadenza si applica anche quando la denuncia Uniemens generi un saldo a credito per l’azienda.

9) ISOPENSIONE

L’isopensione resta in vigore per altri tre anni. La possibilità di andare in pensione sette anni prima con l’esodo Fornero (cosiddetta isopensione), già operativa per il triennio 2018/2020, infatti, è stata prorogata al 31 dicembre 2023 dalla legge di Bilancio del 2021. Durante questo periodo, le aziende possono prevedere piani di esubero di personale per il pre-pensionamento dei lavoratori in possesso dei requisiti per ottenere la pensione (vecchiaia o anticipata) entro i successivi sette anni (anziché quattro come previsto in precedenza fino al 31 dicembre 2017). Tre le condizioni:

che l’anticipo sia massimo di sette anni;
che sia frutto di accordo sindacale;
che il datore di lavoro sia d’accordo a farsi carico del costo della «retribuzione-pensione» e relativi contributi per il periodo dell’anticipo della pensione.
Esodo Fornero

La misura si rivolge alle aziende e ai lavoratori ai quali mancano al massimo sette anni per maturare il diritto a una pensione (vecchiaia o anticipata): possono incrociare le braccia prima intascando, in attesa di ricevere la pensione vera e propria, una rendita pari allo stesso importo (teorico) della pensione calcolata al momento dell’anticipo del pensionamento. La misura mira a risolvere il problema degli esuberi aziendali: se c’è troppo personale, l’azienda può decidere di metterne a riposo una parte, quella più vicina alla pensione.

Requisiti a maglie più larghe

Nel triennio 2021/2023, dunque, si continuerà a potere utilizzare l’isopensione e a mettersi a riposo sette anni prima. Le aziende avranno tempo fino al 31 dicembre 2023 per prevedere i piani di esubero di personale con il prepensionamento dei lavoratori in possesso dei requisiti per ottenere la pensione (vecchiaia o anticipata) entro i successivi sette anni, anziché quattro come previsto fino al 31 dicembre 2017 (e come tornerà a essere dal 1° gennaio 2024).

La media dei 15 dipendenti

La procedura di esodo si applica ai datori di lavoro, di qualunque settore di attività, che impieghino mediamente più di 15 dipendenti. Tale media va calcolata, così come previsto per gli altri istituti a sostegno del reddito (per esempio mobilità o cassa integrazione guadagni), prendendo a riferimento la forza aziendale del semestre precedente la data dell’accordo sindacale per gli esuberi. In tale calcolo dei dipendenti occupati vanno compresi i lavoratori di qualunque qualifica (lavoranti a domicilio e dirigenti inclusi), con esclusione di apprendisti e assunti con contratto d’inserimento e reinserimento lavorativo. Il lavoratore assente ancorché non retribuito (per esempio per gravidanza, o per servizio militare) è escluso dal computo dei dipendenti solo nel caso in cui in sua sostituzione sia stato assunto altro lavoratore; ovviamente in tal caso sarà computato il lavoratore sostituto.

I lavoratori interessati

I lavoratori interessati all’esodo volontario sono coloro che, in un arco di tempo di sette anni (84 mesi, quant’è la durata massima della prestazione a carico del datore di lavoro), maturano il diritto a conseguire una pensione, tenuto conto degli eventuali incrementi alla speranza di vita. L’Inps ha precisato che non può essere accolta la domanda di pensione anticipata nel caso in cui il lavoratore sia già titolare di pensione d’invalidità o di assegno ordinario d’invalidità (circolare n. 119/2013). Questi lavoratori, dunque, non possono accedere all’esodo volontario.

Oltre l’accordo serve una domanda

L’azienda che voglia avvalersi della nuova procedura di esodo volontario deve, prima di tutto, sottoscrivere un accordo aziendale con i sindacati. L’accordo individua lavoratori e condizioni dei licenziamenti con riconoscimento delle prestazioni per questa sorta di prepensionamento.

Stipulato l’accordo, la procedura non è tuttavia ancora operativa, perché l’accordo acquisita la sua efficacia solo a seguito di specifica validazione da parte dell’Inps; e poi perché occorre che l’Inps accolga pure la domanda a tal fine presentata dal datore di lavoro. La validazione è il risultato di una specifica istruttoria eseguita dall’Inps circa la presenza dei requisiti in capo al datore di lavoro e ai lavoratori. La domanda, per essere regolare, va presentata dal datore di lavoro accompagnata da specifica fideiussione bancaria a garanzia della solvibilità in relazione agli obblighi di fornire la provvista finanziaria per tutta la durata dell’operazione di esodo (massimo quattro anni). Una volta che l’Inps ha accettato l’accordo (con la validazione) e la domanda, scatta per il datore di lavoro l’obbligo a versare mensilmente (all’Inps) la provvista finanziaria per pagare la prestazione e per la contribuzione figurativa correlata. In caso di mancato versamento della provvista mensile, l’Inps notifica un avviso di pagamento e, quando necessario, procede all’escussione della fideiussione.

La prestazione durante l’esodo

La prestazione durante il periodo di esodo è erogata ai lavoratori interessati, su richiesta del datore di lavoro, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro. L’importo della prestazione è pari a quello della pensione spettante al lavoratore in base alle regole vigenti all’atto di risoluzione del rapporto di lavoro (ossia all’atto dell’esodo e di accesso alla stessa prestazione). La contribuzione figurativa, che il datore di lavoro si impegna a versare per lo stesso periodo di esodo sulla «prestazione», evidentemente, peserà sulla misura della pensione (vera e propria) definitiva, al termine del periodo di esodo. Cioè quei contributi saranno valutati nel calcolo dell’importo della pensione definitivamente spettante al lavoratore. La prestazione non è reversibile in caso di decesso del beneficiario; nella triste evenienza, ai superstiti viene liquidata la pensione indiretta secondo le consuete norme, tenendo conto eventualmente anche dei contributi figurativi che sono stati intanto versati a favore del lavoratore durante il periodo di esodo.

Quanto pesa la contribuzione figurativa

La procedura prevede che, per i periodi di erogazione della prestazione a favore dei lavoratori esodati, sia versata, a totale carico del datore di lavoro, la contribuzione figurativa correlata a tale prestazione, utile sia per il diritto che per la misura della successiva pensione (a termine del periodo di esodo). L’Inps ha stabilito che la retribuzione media mensile su cui calcolare i contributi figurativi sia pari alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive (in sostanza il valore della retribuzione imponibile esposta nel flusso UniEmens), divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33 (formula prefissato per legge). Sulla retribuzione imponibile media mensile così determinata, l’importo da versare a carico del datore di lavoro è pari al prodotto con l’aliquota di finanziamento vigente nel fondo previdenziale di appartenenza del lavoratore, tempo per tempo vigente (l’aliquota di finanziamento del Fondo pensioni lavoratori dipendenti attualmente vigente è pari al 33%). Il versamento va effettuato per il periodo compreso tra la cessazione del rapporto di lavoro e la maturazione dei requisiti minimi richiesti per il diritto a pensione, ossia per tutto il periodo di esodo volontario.

10) RITA (RENDITA INTEGRATIVA TEMPORANEA ANTICIPATA)

Introdotta dalla legge Bilancio 2017 tra le misure di prepensionamento, offre ai lavoratori iscritti alla previdenza integrativa (soltanto a questi, ovviamente) la possibilità di ricevere una «rendita temporanea» dal proprio fondo pensione in attesa d’intascare la pensione pubblica. Sua finalità, infatti, è offrire un sostegno finanziario in attesa di maturare i requisiti per la pensione obbligatoria (quella dell’Inps o di altro ente previdenziale obbligatorio). La misura, originariamente, faceva coppia con l’Ape sociale, tanto che doveva restare operativa in via sperimentale per lo stesso periodo temporale, cioè dal 1° maggio 2017 fino al 31 dicembre 2018; successivamente la Rita è stata resa «strutturale» dalla legge Bilancio 2018, cosicché non più una scadenza temporale. A conti fatti, la Rita rende possibile mettersi a riposo già a 57 anni. Attenzione; non si tratta di un vero e proprio pensionamento, ma della facoltà di ricevere questa «rendita temporanea»: l’erogazione anzitempo, cioè, di quanto un lavoratore ha versato e accumulato presso un fondo pensione. Condizione basilare è la perdita di un posto di lavoro. Solo e soltanto in questi casi, la Rita può essere richiesta fino a 5 anni prima della maturazione dell’età per la pensione di vecchiaia (67 anni, oggi) e addirittura fino a 10 anni prima (a 57 anni) se si è disoccupati da oltre 24 mesi (in tal caso non è neanche richiesto il possesso di 20 anni di contributi versati nella previdenza pubblica).

I beneficiari

La Rita si rivolge ai lavoratori iscritti alla previdenza integrativa, ovviamente, ma non a tutti: solo a quelli iscritti alle forme pensionistiche complementari (altro modo per indicare i fondi pensioni) in regime di contribuzione definita (si sa quanto si paga di contributi, ma non si sa quanto sarà la prestazione). Ne sono esclusi, invece, i lavoratori iscritti a fondi pensione in regime di prestazione definitiva (si sa quale sarà la prestazione, ma non è la contribuzione che varia nel tempo). Inoltre, ne possono beneficiare (secondo la Covid, nota prot. 888/2018) solo gli iscritti a fondi pensioni titolari di reddito di lavoro (ciò in quanto le condizioni pongono, tra l’altro, che i richiedenti «abbiano cessato l’attività lavorativa» o che «siano rimasti inoccupati», situazioni dunque relative a soggetti-lavoratori. Riassumendo, due le vie alternative (o l’una o l’altra), con specifici requisiti, per ottenere la Rita, come indicato in tabella, che devono essere posseduti al momento della presentazione della domanda.

Il requisito del «non lavoro»

La Covip ha precisato che il requisito della cessazione dell’attività lavorativa, accompagnata nel caso da inoccupazione superiore a 24 mesi deve sussistere alla presentazione di domanda di Rita, non essendo precluso all’iscritto, in assenza di specifica norma che lo vieti, intraprendere successivamente un’attività lavorativa in qualsiasi forma (dipendente, autonomo, ecc.). Quindi è da ritenersi possibile lo svolgimento di attività lavorativa nel corso dell’erogazione della Rita (Covip, nota n. 4209/2020).

Relativamente alle modalità con cui attestare il requisito dell’inoccupazione, specie per la Rita decennale, la Covip, in un primo momento, aveva ritenuto che assumesse rilievo la sussistenza dello status di disoccupazione (di cui al dlgs n. 181/2000): stato di colui che, dopo aver perso un posto di lavoro o aver cessato l’attività di lavoro autonomo, sia alla ricerca di occupazione. Dunque inoccupazione e disoccupazione erano concetti (status) considerati identici. Intanto, però, il quadro normativo di riferimento è mutato: per la Covip, è ora indifferente che l’iscritto richiedente la Rita o anche qualunque altra prestazione legata al requisito di «non lavoro» (per esempio: riscatto totale o parziale della posizione maturata) sia un disoccupato in senso tecnico e, cioè, abbia presentato la Did, ovvero sia un inoccupato: ciò che conta è che abbia cessato l’attività lavorativa svolta in precedenza.

Per quanto concerne l’attestazione del requisito, la Covip suggerisce queste modalità:

per lo stato di disoccupazione occorre dimostrare di aver presentato la Did; in alternativa, se il fondo pensione acconsente, può essere presentata una dichiarazione sostituiva di certificazione, essendo lo stato di disoccupazione menzionato tra gli stati autocertificabili (ex art. 46 del dpr n. 445/2000);
la condizione di non occupazione (status di chi non intende registrarsi come disoccupato) può essere certificata mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Fonte:
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