di Anna Messia
È in Polonia il dossier più caldo per le Generali. Mentre si accendono le voci per una possibile acquisizione della compagnia italiana in Russia, che si aggiungerebbe alla controllata Ingosstrakh, c’è un’altra partita destinata a chiudersi decisamente prima, probabilmente entro il prossimo 22 marzo. Generali, come noto, è tra i pretendenti agli asset polacchi messi in vendita dall’inglese Aviva. In ballo ci sono complessivamente circa 600 milioni di premi e considerando l’alta redditività – circa 100-150 milioni di utili l’anno – il boccone potrebbe arrivare a valere anche più di un miliardo. Una gara che vedrebbe la compagnia triestina contrapposta all’olandese Nationale-Nederlanden e alla tedesca Allianz. La cessione degli asset polacchi, come noto, rientra in un piano di riassetto più ampio di Aviva, che prevede l’uscita da mercati considerati non più strategici dal gruppo. Ad accaparrarsi gli asset italiani sono state la francese Cnp e Allianz e inizialmente sembrava che la cessione in Polonia fosse legata a filo doppio alla vendita delle attività francesi di Aviva, in un unico pacchetto. Le compagnie transalpine sono state invece rilevate Aema Groupe, recentemente creata dalla fusione di Aesio e Macif, per 3,2 miliardi, e ora anche la Polonia è destinata a entrare nel vivo. Presentando il bilancio 2020 nei giorni scorsi, Philippe Donnet aveva sottolineato che l’espansione nell’Est Europa è tra gli obiettivi della compagnia. Il group Ceo delle Generali ha ribadito che in cassa ci sono 2,3 miliardi di liquidità disponibile per potenziale M&A e ha aggiunto che «le acquisizioni non sono un fine, bensì un mezzo, per garantire valore agli azionisti» e che i fondi «verranno utilizzati con disciplina». Mentre ieri gli analisti, facendo i conti tra Polonia e Russia, consideravano molto difficile che Generali possa riuscire a condurre in porto entrambe le operazioni, avendo appunto una capacità di spesa di circa 2,3 miliardi. Qualcuno ha infine ricordato le difficili condizioni del mercato assicurativo russo, come ha dimostrato il caso Ingosstrakh di cui Generali continua a detenere una quota del 38,5%. (riproduzione riservata)

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