In bilico i risarcimenti dei danni causati dai minori in rete. Se il minore può decidere di andare da solo su internet, rischia di cadere il presupposto per ritenere i genitori responsabili degli illeciti commessi dal figlio. Questa la conseguenza paradossale della regola, prevista dall’articolo 8 del regolamento Ue sulla protezione dei dati n. 2016/679 (Gdpr), per cui il minore (in Italia) ultraquattordicenne è abilitato a dare, da solo, il consenso per i servizi digitali, senza possibilità di intervento dei genitori.

Beninteso, questi aspetti non sono stati ancora chiariti, ma è urgente dare regole certe per evitare risultati assurdi.

Tra l’altro l’abilitazione del minore a dare il consenso porterebbe a dire che sia lo stesso minore (e non il genitore) titolato a revocare il consenso e ad esercitare i diritti previsti dalla normativa sulla privacy.

Ma anche su questi profili non ci sono prese di posizione ufficiali e il guazzabuglio giuridico si infittisce.

Tornando alla responsabilità civile dei genitori per i danni provocati dal comportamento dei minori, in generale, il presupposto è che i genitori possano controllare i figli.

In base a questo principio, si è stabilito, ad esempio, che sono condannati a pagare i danni i genitori di minorenni, che diffondono, utilizzando mezzi telematici (WhatsApp, Facebook e simili), fotografie contenenti l’immagine nuda di una coetanea senza il consenso dell’interessata (sentenza del Tribunale di Sulmona del 9 aprile 2018).

Ma, se in base al Gdpr, i figli possono fare da soli in rete, allora i genitori non hanno voce in capitolo; e se i genitori non hanno voce in capitolo, allora non hanno il potere di impedire il fatto dannoso.

Ci si chiede, pertanto, come possa continuare ad addossarsi alla mancata capacità educativa del genitore una condotta su cui il genitore non può intervenire.

L’articolo 8 Gdpr, infatti, assegna al minore l’autodeterminazione digitale e questo appare incompatibile con la regola della responsabilità genitoriale, innestata sulla incapacità ad autodeterminarsi del minore.

I genitori devono educare. Nelle sentenze dei giudici (ad esempio Tribunale minorenni Caltanissetta, pronuncia dell’8 ottobre 2019) si legge ancora che, riguardo all’uso della rete telematica, l’adempimento del dovere di vigilanza dei genitori è strettamente connesso all’estrema pericolosità di quel sistema e di quella potenziale esondazione incontrollabile dei contenuti. E si legge anche che il dovere di vigilanza dei genitori deve sostanziarsi in una limitazione sia quantitativa che qualitativa di quell’accesso, al fine di evitare che quel potente mezzo fortemente relazionale e divulgativo possa essere utilizzato in modo non adeguato da parte dei minori.

I genitori, per rispondere dei danni causati dai figli, devono, dunque, anche poter limitare l’accesso.

Questo orientamento sostiene che i genitori hanno sia il dovere di impartire al minore una adeguata educazione all’utilizzo dei mezzi di comunicazione sia di vigilare sul minore per quanto concerne tale utilizzo. L’educazione si pone, infatti, in funzione strumentale rispetto alla tutela dei minori al fine di prevenire che questi ultimi siano vittime dell’abuso di internet da parte di terzi. L’educazione deve essere, inoltre, finalizzata a evitare che i minori cagionino danni a terzi o a se stessi mediante gli strumenti di comunicazione telematica.

Tale linea interpretativa conclude che l’anomalo utilizzo da parte del minore dei mezzi offerti dalla moderna tecnologia, tale da ledere la dignità cagionando un serio pericolo per il sano sviluppo psicofisico dello stesso, può essere sintomatico di una scarsa educazione e vigilanza da parte dei genitori.

Ci si domanda se questi orientamenti possano ancora reggere di fronte alla regola del Gdpr per cui il consenso per l’accesso ai servizi digitale è una questione che riguarda solo il minore ultraquattordicenne.

Precoce emancipazione. Sempre nelle sentenze, si prende in considerazione una presunta precoce emancipazione dei minori quale conseguenza dei tempi che viviamo. Lo si fa per dire che ciò non esclude né attenua la responsabilità dei genitori per i danni causati in rete dai figli; proprio in ragione di tale precoce emancipazione, i genitori hanno l’onere di impartire ai figli l’educazione digitale necessaria (tribunale La Spezia, sentenza n. 168 del 7 marzo 2018).

Ancora una volta e anche, a fronte di queste decisioni, si può ribattere che la legittimazione esclusiva del minore, codificata dal Gdpr, a esprimere il proprio consenso è un elemento formale, che può portare a uno scarico di responsabilità dei genitori.

E questo potrebbe non essere positivo per le vittime che non possono contare sulla solvibilità dei genitori.

Voto in condotta. In un ambito diverso dalla responsabilità civile, la condotta del minore in rete importa una conseguenza negativa a suo carico. I giudici amministrativi hanno stabilito che si può dare un voto negativo in condotta ad una alunna che su un gruppo WhatsApp abbia usato espressioni ingiuriose e offensive nei confronti di una compagna. Non lo impedisce il fatto che tali azioni siano state tenute al di fuori dell’orario scolastico e su un mezzo non ufficiale (Tar Campania, Napoli, sentenza n. 6508 dell’8 novembre 2018).

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