L’ISPETTORATO SUI TERMINI DI DECADENZA PER RIVENDICARE CREDITI RETRIBUTIVI. RISARCIMENTI ESCLUSI
di Daniele Cirioli

Sì alla diffida per crediti retributivi maturati in appalti, anche oltre il termine di due anni dalla fine dei lavori (decadenza legale della «responsabilità solidale» tra committente e appaltatore) se il lavoratore, con un qualsiasi atto, anche stragiudiziale, abbia impedito la decadenza legale. No alla diffida, invece, per crediti di natura risarcitoria, anche se di fonte retributiva, perché di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria. A precisarlo è l’ispettorato nazionale del lavoro, nella nota prot. 441/2021.

L’Inl risponde su due questioni avanzate dall’Itl di Ancona, relative alla possibilità di adottare la «diffida accertativa per crediti patrimoniali», da parte degli ispettori, nei seguenti casi:

a) oltre il termine di operatività del c.d. regime di «responsabilità solidale» negli appalti;

b) per crediti di natura risarcitoria, nello specifico caso di un datore di lavoro che ha ridotto l’orario di lavoro (e quindi la retribuzione) al lavoratore.

Il regime di responsabilità solidale vincola il committente con l’appaltatore e i subappaltatori, nei casi di appalti di opere e/o servizi, al pagamento di retribuzioni e contributi dei lavoratori occupati nell’appalto. Disciplinato dal comma 2, dell’art. 29 del dlgs n. 276/2003, il regime ha durata fissata fino a due anni dopo la cessazione dell’appalto: fino ad allora, il lavoratore può chiamare in causa il committente, al posto dell’appaltatore/subappaltatore inadempienti, per soddisfare i propri crediti retributivi e contributivi. La cassazione ha precisato che i regimi e i termini sono due. Il primo interessa il lavoratore, sia per i crediti retributivi che contributivi, e ha come termine due anni dopo la fine dell’appalto. Il secondo riguarda solo i contributi e gli enti previdenziali, che possono agire nel più lungo termine della decadenza ordinario: cinque anni. Il quesito avanzato all’Inl chiede di sapere se è possibile adottare la diffida oltre due anni dall’appalto, nel caso in cui il lavoratore abbia impedito la decadenza legale con l’invio al committente di un atto stragiudiziale. L’Inl risponde affermativamente. Se la decadenza non c’è stata, l’ispettore può emettere diffida se risultano rispettate anche le altre ordinarie condizioni di certezza, liquidità e esigibilità del credito.

Il secondo quesito chiede all’Inl di sapere se è possibile adottare la diffida sulle differenze retributive vantate dal lavoratore per la riduzione d’orario di lavoro unilateralmente disposta dal datore di lavoro (con conseguente decurtazione dello stipendio). In tal caso, spiega l’Inl, la differenza retributiva del lavoratore non è diretta conseguenza della prestazione lavorativa, ma di un (eventuale) inadempimento contrattuale del datore di lavoro (ex art. 1218 del codice civile), il quale, unilateralmente e senza la necessaria forma scritta, ha ridotto l’orario di lavoro e la paga del dipendente. Il caso, pertanto, riguarda un tipo di crediti di natura risarcitoria, che esula dall’ordinario ambito di applicazione della diffida. In merito, la cassazione ha superato i precedenti orientamenti e affermato che, nell’ambito di un contratto di lavoro part-time, la trasformazione dell’orario di lavoro può derivare solo da un accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore, non avendo valore probatorio il comportamento per facta concludentia (sentenza n. 1375/2018). Al contrario, nel caso di un contratto a tempo pieno, la modifica dell’orario di lavoro, per il quale non è prevista ex lege una forma scritta ad substantiam, può essere provato anche da comportamenti concludenti. Se è così, conclude l’Inl, è fuori dubbio che l’accertamento della rivendicazione economica del lavoratore è di esclusiva pertinenza di un giudice.

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