La via maestra per rilanciare l’economia italiana l’hanno tracciata Draghi, Savona e Tamburi. Servono più debito pubblico, garanzie per le banche e fatturato statale a favore delle imprese. Soltanto così si potrà battere il virus della recessione

di Roberto Sommella
Faremo da soli. Ma faremo dentro l’Unione Europea e dentro l’euro. Il messaggio inviato sul far della sera di giovedì 26 marzo da Giuseppe Conte ai capi di Stato e di governo europei manca di una postilla fondamentale. Nessuno pensi che il Paese che ha dato i natali all’Europa unita stia preparando un’uscita dalla moneta unica perché le diplomazie addormentate di Maastricht hanno chiesto garanzie per assegnargli una trentina di miliardi di euro con il Fondo Salva-Stati, che si è rivelato per quello che MF-Milano Finanza ha sempre sostenuto, ossia una trappola. Roma resta al centro dell’Ue nella buona e nella cattiva sorte: Angela Merkel ed Emmanuel Macron devono pregare affinché nessuno al di qua delle Alpi – e vi posso assicurare che qualcuno a destra ci penserà tra poco – progetti il ritorno alla lira per sganciare dal sistema delle banche centrali la propria sovranità monetaria.

L’Italia farà invece da sola dal punto di vista dei finanziamenti pubblici, perché la Banca Centrale Europea sia pronta a comprare tutto il suo nuovo debito a scadenza bellica e «illimitatamente». Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri deciderà di emettere Btp per fronteggiare la recessione economica derivante dalla pandemia di Covid-19 per 50 miliardi? Francoforte ne acquisterà per identico importo. Il Tesoro emetterà 100, 200, 300 miliardi di euro? Stesso discorso. Questo va spiegato molto bene al governo Conte, alle imprese, agli artigiani, alle partite Iva e alle famiglie. Nessuno si azzardi più a dire che il debito pubblico non si può fare, in quanto è piuttosto la via di salvezza nazionale, il nostro personale Piano Marshall, visto che l’Unione Europea ha deciso di suicidarsi nella speranza che in Germania, Olanda e Finlandia non ci sia la strage da coronavirus che si sta abbattendo sulla Penisola. Considerazione cinica, quella di Merkel & C, che si può rivelare tragicamente sbagliata quanto quella di Boris «Boria» Johnson, che pensava di esaltarsi come Nelson a Trafalgar e ancor prima di salpare ha contratto il virus che uccide e immobilizza anche il più incallito dei piccoli nazionalisti in giro per il mondo.
Questa è una guerra mondiale che va combattuta uniti, con una sanità federata, come scritto nel Manifesto di Ventotene, ma, se nessuno suona la campana a Bruxelles, ogni Stato farà da sé, a dispetto dei patetici moniti di Ursula Von der Leyen: il capo è a Berlino. La fortuna italiana è perciò avere pochi capi carismatici ma sicuramente molti intelletti che gli altri ci invidiano. Ecco perciò le tre direttrici attraverso cui si può portare il Paese in salvo.
Si tratta del manifesto di Mario Draghi sulla politica che dovranno fare gli Stati e le banche centrali, delle indicazioni di Giovanni Tamburi riguardanti le misure da prendere per agevolare le aziende costrette alla chiusura e dell’analisi di Paolo Savona su come rialzare la domanda globale.

Il bazooka pubblico. Draghi, nel suo già celebre intervento sul Financial Times, è stato esplicito e ha parlato a tutti i governi ma in primis al presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte. L’Europa e il mondo si trovano in condizioni analoghe a quelle del 1914 e della Grande Depressione insieme, Dunque, senza che si spari un colpo di cannone, si può già cominciare a ricostruire sulle macerie della devastante crisi economica. Il come è semplice: coordinando le iniziative europee – ma questo si può già considerare una pia illusione purtroppo – ed emettendo il debito pubblico che serve a mettere in tasca a lavoratori e aziende quello che la serrata globale sta togliendo loro. Senza il timore di impaurire i creditori. La Banca Centrale Europea, nello stabilire che il suo Quantitative Easing sarà illimitato nei confronti delle emissioni nazionali, ha già steso una grande rete protettiva a tutela dei Tesori pubblici e in secondo luogo delle banche che quei bond sovrani compreranno e dunque potranno riversarli alle imprese e alle famiglie senza chiudere il rubinetto del credito. Decisamente un piano che sarebbe piaciuto a John Maynard Keynes e Federico Caffè perché pone lo Stato al centro della sua famiglia, i cittadini.

Fatturato e non esenzioni fiscali. Mercoledì 25 marzo Giovanni Tamburi sulle colonne di MF-Milano Finanza ha spiegato che pensare di sfangare la recessione con esenzioni di imposta è un tragico errore. Se un’azienda è chiusa, come può fatturare e dunque fruire dello stop dell’esazione fiscale? Il banchiere d’affari ha suggerito al governo Conte quello che stanno facendo già in Francia, dove Macron ha istituito un comitato di esperti (perché il presidente della Repubblica transalpino sarà anche preparato, ma non è certo un mediocre che pensa di fare da solo la guerra al virus): garantire il fatturato mancante delle imprese con fatturato pubblico. E’ questa la chiave di volta che deve seguire anche l’Italia. Perdi 100 di ricavi? Non è che ti abbuono 25 di tasse, perché tanto non hai soldi per pagare, ma ti do 75 per campare e poi su quello ci paghi le imposte. Il motivo è anche qui semplice: se la serrata andrà per le lunghe, oltre Pasqua, allo Stato verranno a mancare gli introiti per pagare stipendi pubblici e pensioni. E infatti il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha già messo avanti le mani («noi fino a maggio ce la facciamo…»).

Domanda globale. Su come rialzare l’intero sistema capitalistico si è esibito da par suo Paolo Savona, uno che ha vissuto in prima linea la battaglia del 1992 e le speculazioni nello Sme contro la lira. Quanto servirebbe, tra l’altro, andarsi a rileggere il suo documento sulle riforme europee e la necessità di arrivare al debito comune, espresse in un documento nel 2018, quando era ministro delle Politiche Europee. Probabilmente la lingua utilizzata per il dossier era talmente sconosciuta agli ignoranti del governo Conte I che gli sarà sembrato aramaico. E invece aveva ragione, a saper leggere. Se lo avessero seguito non saremmo a questo sfacelo comunitario. Tornando alla politica economica, la ricetta del presidente della Consob è chiara e lineare: la leva monetaria di fronte alla crisi che sta affrontando il mondo può fare fino a certo punto perché la liquidità che inonderà i mercati, grazie agli interventi delle banche centrali, alla fine amplierà le disuguaglianze tra ricchi e poveri e anche lo squilibrio della bilancia dei pagamenti che penderà di più verso chi potrà ancora attrarre capitali, Germania in primis. Occorre invece, e questo è il compito più difficile, tenere in piedi la domanda, quei piccoli e grandi consumi che fanno girare l’economia e sostengono anche l’export di cui l’Italia va giustamente fiera.
Il modo per far ciò è usare insieme tutte e tre le linee di azione sinteticamente espresse in questo articolo: spesa pubblica, garanzia statale sulle banche, sostegno del reddito. E’ l’unica terapia per sostenere il pil, la ricchezza delle nazioni. E se ne uscirà. (riproduzione riservata)

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