Le imprese che oggi, a causa di un improvviso e non pianificato piano di smart working dettato dal coronavirus, vogliono assicurarsi contro i rischi di attacchi informatici, rischiano di trovare tariffe più elevate. Le assicurazioni si stanno muovendo, avendo percepito la situazione e la nuova richiesta di mercato, se le aziende vogliono soltanto una generica protezione pagheranno di più. Gabriele Giacoma, amministratore delegato di Assiteca, il più grande broker assicurativo italiano, quotato al mercato Aim, avverte il sistema produttivo, soprattutto le Pmi: «Bisogna agire in fretta per proteggere i dati aziendali ed evitare non soltanto il possibile furto, e conseguente richiesta di riscatto; ma soprattutto la perdita della stessa continuità operativa, che è l’evento più temuto perché mette a rischio l’esistenza stessa dell’azienda». Giacoma cita dati statistici: «il 30 per cento delle aziende che ha blocchi produttivi chiude entro un anno». Il motivo è semplice: «Il fermo delle attività non è sostenibile finanziariamente soprattutto dalle imprese più piccole. Per queste non c’è un cuscinetto di protezione, in soli 15 giorni di blocco della produzione bruciano tutta la cassa e avrebbero bisogno di centinaia di migliaia di euro per poter far fronte agli impregni contingenti. E anche quelle che riescono ad andare avanti si portano dietro per anni una situazione deficitaria». Lo smart workirng, soluzione che alcune imprese hanno adottato in fretta e furia, può esporle in misura molto maggiore ai cyber rischi «Soltanto l’uso dei pc aziendali – spiega Giacoma – può proteggere in una certa misura i dati aziendali che passano dall’archivio aziendale all’esterna I pc personali usati da molti dipendenti a casa hanno dei buchi evidenti: usati soprattutto sui sudai sono più esposti ai ladri di dati. Inoltre, molto spesso non vengono neppure aggiornati, cosa che ridurrebbe il rischio, e non di rado manca un antivirus. Anche la casalinga spesso non ha un adeguato livello di protezione», dice Giacoma, che consiglia quindi l’uso dei soli pc aziendali con la Vpn, un software che consente di lavorare da remoto utilizzando una sorta di binario chiuso. Alle prese con l’emergenza, grazie al decreto legge n. 6/2020 del 23 febbraio, molte aziende cercano coperture assicurative per i possibili danni da suturi working che però, senza l’aiuto di intermediari o di consulenti, restano a un livello molto generico e superficiale, oltre che essere costose rispetto al grado di protezione. Chiaro che il rilancio, obbligato dai fatti in questo momento, dello smart working, dovrebbe far riflettere l’azienda sulla necessità di prevenire sistematicamente eventuali attacchi informatici con un’adeguata prevenzione e con l’individuazione delle migliori polizze. In Italia la quota di imprese che ha una copertura assicurativa C di circa il 30 percento, tutte le altre o non si pongono neppure il problema o lo sono valutano», dice Giacoma. «Occorre in via preliminare fare un’analisi e individuare un “profilo di rischio” per ogni azienda che permetta poi di trovare le polizze più adatte, ma anche con un premio più basso di quello che le compagnie offrono in prima battuta».

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