di Antonio Ciccia Messina

La privacy non stoppa la lotta contro il coronavirus. Ma stop alla maxi raccolta a tappeto di dati sanitari di persone, lavoratori e persone, che entrano in locali ed edifici. È quanto ha precisato il Garante della privacy con nota ufficiale del 2 marzo 2020, nella quale è stata sbarrata la strada a iniziative «fai-da-te» nell’acquisizione di informazioni così delicate come quelle relative alla salute.I datori di lavoro hanno, sì, la responsabilità di locali, cui accedono e transitano persone; ma va sgomberato il campo da falsi problemi, come quello per cui la privacy impedirebbe di proteggersi contro possibili focolai di infezione.

La normativa sulla privacy non è in alcun modo ostacolo alla tutela di interessi primari e incomprimibili come la vita e la incolumità individuale.

D’altra parte, bisogna anche riconoscere che non è finalità della normativa sulla privacy la tutela della salute, che è, invece, prerogativa delle autorità governative e sanitarie.

Il problema, ovviamente, non si pone per i luoghi dichiarati inaccessibili: in questo caso l’accesso è illecito e il soggetto che entra deve essere identificato (e, pertanto, non si pone per definizione un problema di privacy).

In generale la preoccupazione principale è che i dati sanitari siano trattati solo da parte di chi è competente oltre che evitare discriminazioni tra le persone con riferimento ai loro dati personali, in ipotesi raccolti in grandi quantità, delle quali, in realtà, non si sa che farsene.

Dall’altro lato, nessuno deve diminuire le tutele «sostanziali» per paura di violare la privacy. Pertanto, chi ha la responsabilità della regolamentazione degli accessi a luoghi frequentati dal pubblico deve, innanzitutto, chiedersi:

– quali sono le precauzioni che devo adottare per minimizzare i rischi;

– se queste precauzioni devono essere adottate nei confronti di tutti;

– oppure se esistono precauzioni, previste dalle autorità amministrative e sanitarie, differenziate per determinate categorie.

Solo in quest’ultimo caso è necessario raccogliere le informazioni necessarie a identificare gli appartenenti alle diverse categorie.

Tutti gli sforzi, dunque, devono essere tesi a individuare e attuare le precauzioni, e non a perder tempo nel raccogliere e accumulare dati, certamente eccessivi e sovrabbondanti, molto spesso inutili.

Misure di protezione e raccolta dati. La raccolta di informazioni in merito all’eventuale infezione di una persona in fase di accettazione negli edifici, poi, non può essere giustificata con la necessità di attivare specifiche misure di protezione per le persone, in quanto la situazione attuale prevede che, stante l’impossibilità di avere certezza sullo stato di malattia, le stesse misure di protezione devono essere adottate nei confronti di ogni singola persona.

Più precisamente, se si considera impossibile o altamente difficile identificare con certezza tutti i pazienti con infezione specifica, le precauzioni finalizzate alla protezione dal contagio debbano essere prestate nei confronti della generalità delle persone. Da ciò ne deriva che, allo stato, secondo il Garante, è del tutto sproporzionata la raccolta massiva di dati.

Nel caso del coronavirus, le precauzioni attengono, allo stato, a misure di igiene personale, dei locali e delle cose.

In effetti, le autorità competenti stanno fissando e aggiornando le misure di prevenzione generale alle quali ciascun titolare dovrà attenersi per assicurare l’accesso dei visitatori a tutti i locali aperti al pubblico nel rispetto delle disposizioni d’urgenza adottate.

Il Garante per la protezione dei dati ha, pertanto, affermato che l’emergenza coronavirus non giustifica la raccolta, a priori sistematica e generalizzata di informazioni sulla salute delle persone, neppure sotto forma di autodichiarazioni. Lo stesso Garante della privacy ha invitato ad astenersi da iniziative autonome di raccolta di dati, anche sulla salute di utenti e lavoratori, che non siano normativamente previste o disposte dagli organi competenti.

È anche indubitabile, però, che si sta vivendo una situazione di crisi generalizzata e immanente, nella quale la valutazione del rischio consentito cambia da un momento all’altro (non a caso si assiste a una sovrapposizione di decretazione d’urgenza). In questo frangente, che è anche di confusione, la principale avvertenza è di comportarsi con lealtà e correttezza, tenendosi aggiornati e adeguandosi alle cautele, come specificate con il passare delle ore.

Senza scordare, infine, che eventuali situazioni specifiche di stato di necessità si autolegittimano (anche a riguardo della privacy): il caso in cui ci sia necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona costituisce di per sé una scriminante (anche quando in buona fede è ritenuta sussistente), che legittima condotte anche in violazione della legge.

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