Lo stato d’allarme gioca a favore delle reti finanziarie che nelle fasi di shock sono abili nel contenere le ansie dei clienti Ubs prevede che anche stavolta andrà così. Le strategie in campo

di Paola Valentini
«Siamo sempre in stretto contatto con i nostri clienti, ma in questa fase dire che ci sentiamo una volta al giorno è poco, alcuni ci chiamano anche in più momenti nel corso di queste concitate giornate sui mercati finanziari». La confidenza arriva, dietro la promessa di mantenere l’anonimato, da una top banker di una grande rete italiana che si trova in trincea in queste settimane di paure e preoccupazioni per un virus che tiene il mondo sotto scacco e mai prima d’ora, almeno a partire dalle ultime guerre mondiali, aveva portato conseguenze così profonde nell’economia e nella vita reale. Le ricadute sono vistose anche mercati finanziari dove in pochi giorni è cambiato tutto ed è tornata sulla scena, senza avvisaglie, la volatilità dopo un lungo periodo di calma. Per le reti che sono da sempre in prima linea nell’assistere i risparmiatori l’emergenza coronavirus è una prova di resistenza importante. Ma è anche una sfida che viene affrontata con il passo di chi ha nel Dna il compito di gestire l’emotività degli investitori.

E sarà sempre più così visto che le banche alle prese con l’ondata di chiusura degli sportelli e la gestione delle sofferenze hanno, su questo fronte, lasciato campo libero alle reti di consulenti e private banker. L’ultimo in ordine di tempo è stato Banco Bpm. Il 2 marzo l’istituto ha annunciato, nell’ambito del nuovo piano al 2023, la chiusura di 200 filiali che si aggiungono ai 175 indicati nel piano Ubi al 2022 presentato la settimana prima. Dal canto suo Unicredit nel giro dei prossimi quattro anni vuole far uscire 6 mila lavoratori e chiudere più di una filiale su 10, eliminandone altre 450. Il motivo delle scelte del gruppo guidato dall’amministratore delegato Jean Pierre Mustier è tutto nei numeri: le operazioni allo sportello sono calate del 55% rispetto ad appena quattro anni fa, mentre crescono quelle sui canali evoluti, l’home banking e le app. La trasformazione digitale ha reso i conti correnti un prodotto da utilizzare da pc o smarthpone, oramai andare allo sportello per compiere operazioni bancarie è una rarità. Di qui gli esuberi e la ridondanza di filiali per le banche tradizionali che per far quadrare i conti cercano di snellire il più possibile una rete troppo cara alla luce delle nuove tecnologie. Ma a questa situazione fa da contraltare una sempre maggior importanza che assume la gestione dei risparmi, un’attività che, dati i tassi ai minimi, non può prescindere dalla consulenza e quindi dal rapporto umano (a parte i pochi esperimenti di gestione online che però in Italia stentano a decollare). Su questo fronte sono schierate e stanno diventando sempre più forti le reti di consulenti che, anche grazie a una maggiore efficienza sui costi possibile per la contenuta presenza di filiali sul territorio, in questa fase sono in una situazione di vantaggio rispetto alle banche. E d’altra parte gli stessi risparmiatori trovano nei liberi professionisti dell’advisor finanziaria un interlocutore disponibile nel rispondere alle proprie esigenze o, come è il caso attuale, anche pronti a rassicurare. I numeri di Assoreti segnalano questo boom.

A fine dicembre il patrimonio finanziario affidato alle reti di consulenti finanziari ha raggiunto un nuovo record storico: 619,8 miliardi di euro, 100 miliardi in più rispetto ai 513 miliardi di fine 2018. In totale quindi le reti gestiscono il 15% della ricchezza complessiva delle famiglie italiane (4.200 miliardi in base agli ultimi dati della Banca d’Italia). Un incremento delle masse che nel 2019 è stato sostenuto non soltanto dall’effetto mercati, ma anche dai flussi. La raccolta netta lo scorso anno ha sfiorato i 35 miliardi (di questi più della metà delle risorse è stata destinata a prodotti del risparmio gestito) in aumento rispetto ai 30 miliardi dell’anno prima. «L’impegno continuo nell’innalzamento degli standard qualitativi del servizio offerto ed il rapporto fiduciario instaurato con i propri clienti rappresentano il connubio imprescindibile che consente di cogliere esigenze ed emotività dei risparmiatori per trasformarle in investimenti adeguati nella prospettiva di un’allocazione ottimale nel tempo», ha commentato Paolo Molesini, presidente dell’Associazione delle reti di consulenti finanziari. La classifica di Assoreti per raccolta netta vede al primo posto nel 2019 il polo Fideuram di Intesa Sanpaolo con oltre 10,7 miliardi, seguito da Banca Generali (5,129 miliardi) e Finecobank (5,12 miliardi). Non solo. Storicamente le reti hanno retto meglio dell’altro canale di distribuzione dei prodotti di risparmio gestito, quello bancario. E anche questa volta sarà così. Come osserva Ubs: «Il recente calo dell’azionario europeo non promette niente di buono per la raccolta e rischia di ridurre il già basso appetito per il rischio delle famiglie italiane». In un tale scenario difficile però Ubs si aspetta che le reti saranno ancora una volta in grado, come accaduto in altre situazioni di crisi dei mercati, di raccogliere di più degli sportelli grazie al fatto che riescono a costruire relazioni più solide e più strette con i risparmiatori rispetto alle banche. «Infatti non sorprende vedere che negli ultimi 15 anni i consulenti hanno sempre avuto flussi maggiori del resto dell’industria», ricorda Ubs.

La forza sta nel rapporto che il banker riesce da subito a instaurare con il risparmiatore, magari coinvolgendolo anche in iniziative, come presentazioni o eventi, che servono a creare un rapporto più stretto. E questo è un aspetto che si rivela vincente soprattutto nelle fasi difficili dei mercati. «Ai tempi dell’emergenza da coronavirus è lecito che un investitore si faccia prendere dal panico quando vede una discesa importante dei mercati come quella registrata nell’ultima settimana, ma è proprio in questi momenti che la finanza comportamentale, grazie anche all’aiuto di consulenti esperti, può veramente fare la differenza. Partiamo dal presupposto, tutt’altro che banale, che rivolgere domande al consulente è meglio che agire d’impulso e disinvestire presi dal panico», premette Andrea Rocchetti, head of investment advisory di Moneyfarm. Tra le domande che Moneyfarm ha raccolto in questi giorni su tutti i suoi canali (telefono, email, chat) le più frequenti riguardano il comportamento da adottare in uno scenario straordinario come questo, pieno di timori e incertezze: è un buon momento per disinvestire? E per entrare? E per cambiare il profilo di rischio del mio portafoglio?
«Tutte domande legittime, che vanno gestite caso per caso, ma in generale possiamo dire che abbiamo suggerito calma e ricordato quelli che riteniamo da sempre essere i capisaldi dell’investimento efficiente: diversificazione per asset class, geografica, valutaria, focus sui propri obiettivi di investimento piuttosto che sulle incertezze di breve termine che nei mercati finanziari sono all’ordine del giorno e al tempo stesso disponibilità a cogliere le opportunità che si possono aprire per gli investitori lungimiranti», prosegue Rocchetti.

Anche perché la storia insegna che vendere sull’onda dell’emotività ha sempre prodotto risultati inferiori rispetto alla scelta di tenere le posizioni. «I rendimenti sui mercati si fanno in pochi giorni e per la stragrande maggioranza degli investitori è davvero molto difficile intercettarli. Entrare e uscire dai mercati, ovvero fare market timing, aumenta soltanto le probabilità di perdersi i giorni migliori», afferma Rocchetti che riporta i dati di un’analisi condotta da Jp Morgan Asset Management sull’S&P: sei dei dieci giorni migliori, nel periodo considerato (da inizio 1998 a fine 2017), sono infatti caduti vicino ai giorni peggiori quindi chi è rimasto investito nel S&P 500 per tutto il periodo ha guadagnato più del doppio rispetto a chi si è perso i dieci giorni migliori. «Del resto, il cosiddetto advisor’s apha di Vanguard stima che il valore del consulente nella gestione dell’emotività si aggiri intorno all’1,5% all’anno», ricorda Rocchetti.
Lo sa bene anche Fidelity che ha condotto un’analisi simile nell’azionario Italia scoprendo che il rendimento annualizzato ottenuto da un investitore che è rimasto costantemente investito nel mercato azionario italiano (indice Comit) per dieci anni, da inizio 2010 a fine 2019, è stato del 5,4% mentre chi ha scelto di cavalcare le fluttuazioni dei mercati di breve periodo ha ottenuto risultati peggiori. In questi anni non partecipare alle migliori 10 sedute di contrattazioni ha voluto dire guadagnare soltanto lo 0,17%, con 20 sedute in meno c’è stata una perdita del 3,54%, con 30 in meno il -6,67% e con 40 in meno il -9,57% (grafico in pagina).

«Coloro che rimangono investiti anche nei momenti di volatilità beneficiano tipicamente della tendenza al rialzo a lungo termine nei mercati azionari. Quando gli investitori cercano di cronometrare il mercato fermando e riavviando i loro investimenti, possono correre il rischio di intaccare i rendimenti futuri perdendo i migliori giorni di ripresa del mercato e le opportunità di acquisto più interessanti che si rendono disponibili durante i periodi di pessimismo. La mancanza di soli cinque dei migliori giorni di performance sul mercato può avere un impatto significativo sui rendimenti a lungo termine», afferma Fidelity. La popolarità dei temi d’investimento va e viene, «ma ci sono ancora grandi opportunità per gli investitori a livello azionario, in quanto le aziende emergenti innovative possono trarre vantaggio da fattori secolari come la crescita demografica e l’espansione della domanda della classe media per la sanità, la tecnologia e i beni e servizi di consumo. Il punto chiave è non permettere che l’euforia o l’indebito pessimismo del mercato offuschino il vostro giudizio», spiega Fidelity. La prospettiva di cogliere il momento giusto per entrare sul mercato è allettante. «Riuscirci significa acquistare titoli azionari a prezzi contenuti, per poi rivenderli quando vengono scambiati ai massimi. Ma nessuno sa prevedere esattamente il momento migliore per investire», prosegue Fidelity. Una cosa è certa. «Studi hanno dimostrato che gli investitori sono più sensibili alle perdite che ai guadagni, il che porta a comportamenti volti a evitare perdite piuttosto che a massimizzare i ritorni degli investimenti», concludono gli esperti di Fidelity.

Un contesto complesso a cui gli investitori dovranno abituarsi, almeno nel breve termine. «Nell’immediato, dobbiamo rimanere pazienti di fronte al perdurare della volatilità. Siamo tuttavia convinti che la via d’uscita da questo momento di stress ci sarà suggerita dalle autorità. Di certo, le banche centrali e i governi non permetteranno che le condizioni finanziarie si deteriorino a dismisura», afferma Olivier de Berranger, chief investment officer di La Financière de l’Echiquier. In linea Dave Lafferty, chief market strategist di Natixis Investment Managers: «Ci aspettiamo una continua volatilità sui mercati azionari, del reddito fisso, delle valute e delle materie prime man mano che la ricaduta economica della pandemia si farà strada nell’economia globale».
D’altra parte i cambiamenti in atto sui mercati possono anche essere vista come un’opportunità da cogliere per fare il punto sulla propria asset allocation. «Gli investitori non dovrebbero sprecare le potenziali occasioni di questa crisi: l’aumento della volatilità dovrebbe fornire ampie opportunità per riequilibrare, ottimizzare le conseguenze fiscali o avviare una fase di riallocazione su differenti asset class», spiega Lafferty. Per quanto riguarda l’allocazione del rischio, «l’incertezza è elevata e il potenziale di perdite al ribasso è maggiore rispetto a quello di guadagni al rialzo. Con un elevato grado di rischio azionario e i rendimenti obbligazionari prossimi ai minimi storici, gli investitori potrebbero voler prendere in considerazione strategie alternative o non tradizionali in grado di consentire loro una certa partecipazione al mercato, ma con una minore volatilità complessiva», conclude Lafferty. (riproduzione riservata)

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