di Daniele Saponaro*

L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Coronavirus non sembra per il momento arrestarsi, costringendo le istituzioni a misure sempre più restrittive per cercare di arginare i contagi su tutto il territorio nazionale. I provvedimenti presi sono ormai risaputi e gli italiani sembrano lentamente recepire le indicazioni ricevute. Esiste però l’altro faccia del virus, anche questa ben nota, che rischia di paralizzare l’economia del paese: è rappresentata da imprenditori, artigiani, professionisti e dipendenti, tutti in attesa di avere gli strumenti necessari per combattere l’ennesimo ostacolo, questa volta più inatteso e ingente che mai.
Anpit ha deciso di dare la parola proprio a queste categorie riunendo intorno ad un tavolo, telematicamente si intende, tutti i professionisti che si occupano delle oltre 60 sedi dislocate in tutte le regioni d’Italia. L’indagine a cura dell’associazione datoriale è stata eseguita su un campione di aziende associate individuato in base al territorio, al fatturato e al numero dei dipendenti. I numeri che emergono suonano come un grande campanello d’allarme, ma risulta evidente come vinca la voglia di reagire e la speranza di continuare quel percorso verso la ripresa economica bruscamente interrotto dall’avvento del virus. Il 97% delle imprese ha infatti dichiarato di aver già subito pesanti contraccolpi negativi, il 65% delle aziende ha palesato una riduzione significativa del fatturato e il 53% ha spiegato di vedersi costretta a una riduzione del personale nel caso non venissero prese in tempi celeri importanti misure di sostegno.
Come anticipato, quindi, lo scenario non è certo dei migliori. Ma, nonostante questo, il 96% delle aziende si dichiara comunque fiducioso di poter tornare, seppur con le difficoltà del caso, alla normalità se la situazione non si dovesse prolungare oltre i due mesi. Tra i settori più in difficoltà ci sono senz’altro il turismo e il commercio al dettaglio, dove la quasi totalità delle aziende ha manifestato una grave riduzione del giro di affari, con il 75% degli intervistati che ritiene di dover procedere a una riduzione del personale laddove non si possa accedere ad ammortizzatori sociali.
La situazione più grave viene dipinta ovviamente dalle imprese presenti nei territori comprendenti l’originaria zona rossa: le regioni della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia, e intere province della Marche e del Piemonte. In queste terre la totalità delle imprese dichiara di avere una riduzione significativa del fatturato e l’ 87% ritiene di dover procedere ad una riduzione del personale senza aiuti sociali. Anche nella Capitale questi due settori hanno risentito più degli altri dell’attuale situazione d’emergenza. Anche qui, infatti, tutte le aziende coinvolte dall’indagine di Anpit hanno ribadito una riduzione significativa del fatturato, e l’85% di queste ritiene imprescindibile l’attivazione di uno scivolo per poter tornare alla normalità. Dati pressoché identici alle aziende collocate nella zona rossa iniziale. «Una situazione drammatica», dichiara Federico Iadicicco, presidente di Anpit. «Come Associazione nazionale abbiamo già evidenziato la necessità di attivare una serie di misure per superare una delle più gravi crisi di questo secolo. Oltre allo stanziamento di almeno 25 mld nel breve periodo, portando al 3% il rapporto deficit/pil e spingendosi fino al 3,5% tra misure immediate e rilancio post crisi, chiediamo inoltre la sospensione degli adempimenti tributari fino a dicembre 2020 e rateizzazione negli anni successivi; cassa integrazione e fondo d’integrazione salariale per tutte le aziende del territorio con procedure snelle e non burocratiche. Infine, fondamentale la temporanea sospensione delle rate dei mutui, congedo parentale e voucher baby sitting».

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