In questi casi, il danneggiato deve dimostrare il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva.

L’art. 2051 c.c. non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente offensiva, posseduta dalla cosa.

Dei suddetti principi ha fatto buon governo la Corte territoriale nel caso di specie. Invero la ricorrente aveva sostenuto di essere caduta dal secondo gradino di accesso agli spogliatoi ed ha dedotto la responsabilità del custode, in quanto vi era presenza di acqua sulle scale, l’antiscivolo sul piano era usurato e non vi era corrimano.

Senonchè la Corte territoriale ha ritenuto non provato il nesso di causalità tra il bene in custodia e la caduta, rilevando che il testimone, indicato dalla stessa ricorrente ed escusso in primo grado, non aveva saputo indicare le modalità precise della caduta (e, in particolare, se la caduta era occorsa sul secondo gradino, se questo effettivamente presentava antisdrucciolo usurato ed era privo di corrimano e fosse bagnato d’acqua) e, d’altra parte, le fotografie prodotte attestavano la presenza del corrimano a scala iniziata e l’esistenza di una copertura (che avrebbe dovuto rendere più difficile l’ingresso dell’acqua della pioggia).

Cassazione civile sez. VI, sentenza del 30/10/2019 n. 27970

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