di Antonello Martinez, naming partner Studio Martinez&Novebaci

La Corte di cassazione con sentenza 3720/2019 ha dato ragione a Trenitalia, ponendo la parola fine a un procedimento iniziato nel 2007 in merito al risarcimento da danno esistenziale che avrebbe patito un pendolare di Piacenza per via dei ritardi subiti, il sovraffollamento dei treni, il caldo in estate e il freddo in inverno ecc. Il Giudice di pace in primo grado aveva condannato Trenitalia al pagamento di un risarcimento di 1.000 euro, sentenza appellata e ribaltata dal Tribunale di Piacenza e chiusa in via definitiva dalla Suprema corte.
Da un punto di vista del diritto questa decisione non fa una piega in quanto non poteva esserci il benché minimo dubbio sull’abbaglio preso in primo grado dal Giudice di pace di Piacenza, a cui aveva posto rimedio il Tribunale prima e la Cassazione adesso.
La legge consentiva al pendolare di richiedere diversi tipi di risarcimento materiali e morali ma non è certamente quello da «danno esistenziale» la forma di risarcimento che poteva essere concessa.

Il danno esistenziale è per definizione «il danno arrecato all’esistenza», cioè quel danno che, pur non essendo inquadrabile nel danno alla salute, vista la sua gravità trova giustamente spazio in una tipologia che non era espressamente prevista. Molti giuristi, seri ed affidabili, lo hanno anche inquadrato come «il danno alle attività realizzatrici della persona umana», «il perturbamento dell’agenda quotidiana», «la rinuncia forzata ad occasioni felici». È quindi la lesione alla possibilità di accedere a tutti gli intrattenimenti e a quelle attività tipiche che realizzano la persona umana. In generale si tratta di tutti quei danni che non possono essere considerati danni alla salute, perché non si traducono in una lesione psicofisica ma che tuttavia incidono su valori fondamentali dell’esistenza di un individuo.
Il danno esistenziale non è identificabile nel danno morale. Il danno morale è il danno che si identifica, infatti, nelle sofferenze e nel dolore, che sono dirette conseguenze di un illecito. Si configura quindi una ipotesi di un danno intangibile dal punto di vista materiale, impossibile da percepirsi se non da parte di colui che lo ha patito. Il danno esistenziale è invece un danno concreto e tangibile che si concretizza, ad esempio, con l’impossibilità di svolgere per sempre una data attività o ancora l’impossibilità di godere di alcuni piaceri della vita. Si tratta cioè di un danno concreto, tangibile e visibile per chiunque.

Dopo anni e anni di acceso dibattito nel 2003 la Cassazione ha infatti raggiunto un primo punto fermo (sentenze nn. 8827 e 8828 del 2003), seguite dalla sentenza 233 del 2003 della Corte costituzionale andando a stabilire dei punti essenziali riguardanti la gravità e l’assoluta rilevanza oggettiva di ciò che può incarnare il concetto di «danno esistenziale» e l’assoluta serietà di questa tipologia di danno che, come detto, affonda le proprie radici nella Carta costituzionale. Invocarlo per i ritardi del treno, delle carrozze affollate, del caldo e del freddo, è quantomeno improprio.
Cercando tra sentenze emesse da Giudici di Pace se ne trova una abbastanza singolare di un giudice a Napoli che, analogamente, a quello di Piacenza riconosceva come «danno esistenziale» fattispecie relative all’errato taglio di capelli da parte di un parrucchiere; per stress causato da una cartella esattoriale inesatta; per l’eccessiva attesa in aeroporto e per il posizionamento di un lampione stradale nei pressi della finestra della camera da letto. Anche in questi casi il Tribunale prima e la Suprema corte hanno poi ribaltato le sentenze.

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