La Cassazione sull’illegittimo comportamento del datore di lavoro
Soltanto la perdita di chance dribbla l’Irpef
di Emilio de Santis

Da tassare il risarcimento per illegittimo comportamento del datore di lavoro, a condizione che esso attenga strettamente alla perdita di reddito connessa al rapporto di lavoro.
Perché possa essere escluso dalla tassazione Irpef, infatti, deve trattarsi di perdita di chance (danno emergente), e non già di mancata percezione di reddito, ad esempio per non avere potuto godere della pensione di vecchiaia, che è invece da ritenersi lucro cessante.
Lo afferma l’ordinanza n. 5108/2019 della Cassazione, che, pure accogliendo un motivo del ricorso avverso la sentenza della Ctr Sicilia 321/16/2011 (il contribuente aveva eccepito validamente che i giudici del territorio non si fossero pronunciati sulla sua richiesta di escludere da tassazione il risarcimento ottenuto), decidendo nella «questione di puro diritto», gli ha comunque dato torto.

La vicenda traeva origine dalla cartella notificata al contribuente – pensionato dell’Arma dei Carabinieri – con la quale gli era stato richiesto il pagamento dell’Irpef su somme che gli erano state corrisposte quali «indennità per la risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento del datore di lavoro», ritenute dall’ufficio assoggettate a tassazione separata, ai sensi dell’articolo 16, lettera b, del dpr 917/86 (nel testo ante riforma 2004). La Suprema corte si sofferma prima su altra contestazione del contribuente, riguardo alla decisione della Ctr che aveva escluso la illegittimità della notifica perché effettuata nelle mani della «addetta alla ricezione atti dello studio» – di cui il pensionato escludeva esserne titolare – ritenendo che ciò fosse da considerare solo un profilo della «nullità della cartella, ma non di certo l’inesistenza della stessa, anche tenendosi conto dell’insegnamento di questa Corte a sezioni unite (Cass. civ., s.u. 20 luglio 2016, n. 14916)», sanato dalla tempestiva presentazione del ricorso da parte del contribuente.
Risolta quindi tale questione, i giudici di legittimità osservano – anche sulla scorta di loro precedenti pronunce (Cass. civ., 24 novembre 2010, n. 23795) – che, per negare l’assoggettabilità ad Irpef di una erogazione economica effettuata in favore del prestatore di lavoro, deve prima essere escluso che essa trovi la sua causa nel rapporto di lavoro. E se ciò non fosse, non deve trovare «la fonte della sua obbligatorietà né in redditi sostituiti, né nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od all’interruzione del rapporto di lavoro». E – prosegue la Suprema corte – se ciò non è, ad esempio per il caso di danno morale e di danno all’immagine il cui ristoro è risarcimento di «danno emergente relativo alla integrità psicofisica del lavoratore», altrettanto non può dirsi per il risarcimento riconosciuto – a seguito del licenziamento illegittimo – per la perdita della pensione di vecchiaia, in quanto «strettamente collegato alla mancata percezione dei redditi, quindi al lucro cessante».
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