Sono le società di questo listino in linea con la nuova normativa, in via di pubblicazione, che prevede bonus fiscali per chi investe. Resta qualche nodo sul venture capital, ma le prospettive più interessanti riguardano tutto il comparto
di Elena Dal Maso

Sono 74 le piccole e medie società dell’Aim su cui i fondi Pir 2 possono investire. La nuova normativa, legata a bonus fiscali per chi acquista quote nelle pmi di Piazza Affari, vede i decreti attuativi in via di definizione al Mef, dopo essere stati fermi al Mise per circa un mese, con diversi tecnici al lavoro per allargare il più possibile la platea delle società quotate investibili. In questo senso Cristian Frigerio, analista di 4Aim , ha elaborato un report per MF-Milano Finanza che cerca di far luce su quali sono i titoli dell’Aim che potranno ricevere gli investimenti dei fondi comuni. La norma prevede che non si paghino tasse (con aliquota del 26%) su plusvalenze da cessione e sugli stacchi delle cedole. La differenza fra Pir 1, nati a gennaio 2017, e Pir2, che partiranno a breve, è che l’ultima versione prevede un investimento obbligatorio del 3,5% del capitale in pmi e il 3,5% in fondi di venture capital.

L’Aim conta oggi 116 titoli e una capitalizzazione di 6,5 miliardi: 74 società corrispondono al 65% circa del totale, per 3,46 miliardi di euro di market cap. L’incidenza però sale al 75% se si escludono le 14 spac quotate sull’Aim, che hanno dimensioni decisamente maggiori rispetto alle pmi classiche. «Con la prudenza del caso sulla versione definitiva dei testi dei decreti, non si può che essere soddisfatti: il 75% delle quotate è Pir Compliant, ma soprattutto vuol dire che, in prospettiva tre quotazioni su Aim Italia su quattro beneficeranno di questi fondi», commenta Giovanni Natali, presidente di 4aim . «È veramente qualcosa di buono per le piccole e medie imprese italiane. Ci abbiamo sperato e lavorato tanto, anche contro qualche uccello del malaugurio, e sembra, che stavolta ci siamo davvero».
Le prime cinque società dell’Aim per capitalizzazione, che secondo 4Aim hanno le caratteristiche di pmi secondo la definizione europea (fino a 50 milioni di fatturato annuo e non oltre 250 dipendenti), sono Bio On , Pharmanutra , Smre , Wiit e Costamp group , che vanno da 1,1 miliardi della prima ai 100 milioni della quinta. I decreti attuativi, partiti con un documento leggero, nel giro dell’ultimo mese hanno preso più consistenza lievitando a una decina di pagine, perché i tecnici del ministero stanno cercando di rendere il più chiara possibile l’interpretazione di una norma che nasce a Bruxelles. Lo scopo è ampliare al massimo il numero di pmi quotate oggetto di investimento.

«Sarebbe forse auspicabile realizzare un panel di consultazione pubblico con gli operatori di mercato per rendere facilmente applicabile la normativa e aiutare le sgr negli investimenti», interviene Franco Gaudenti, amministratore delegato di EnVent. «Il 3,5% obbligatorio sul venture capital è considerato problematico, perché non si può costringere un fondo aperto a investire quote in fondi chiusi, magari pure cari», nota Gaudenti. «Perché lo strumento possa funzionare si dovrebbe poter investire anche in controllate e divisioni create e gestite con regole specifiche da corporate privati. Oppure deviare sugli Eltif, i nuovi fondi chiusi che puntano sulle società non quotate».
Su questi a Roma si medita di definire una legge ad hoc con sgravi fiscali specifici. Che cosa dicono i decreti attuativi? Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, sono considerate pmi le piccole e medie imprese secondo normativa comunitaria, ovvero quelle che hanno fino a 250 dipendenti, 50 milioni di fatturato oppure il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni. Queste aziende non devono essere quotate su un mercato regolamentato, quindi l’Aim rientra nella corretta fattispecie, non devono aver ricevuto in fase di aumento di capitale o di ipo dal momento dell’entrata in vigore della legge (1 gennaio 2019) un importo superiore a 15 milioni.
Se invece un’azienda è già scambiata su Aim, la grandezza dell’investimento di un fondo in corso di scambi quotidiani non ha più limiti. Poi intervengono tre condizioni, di cui basta soddisfarne almeno una. La prima è non aver operato in alcun mercato (e questa norma europea viene letta dal legislatore come non essere mai passato sul Ftse Mib). La seconda è operare da meno di sette anni dalla prima vendita effettuata. La terza richiede capitali per oltre il 50% del fatturato medio annuo negli ultimi cinque anni per il lancio di un nuovo prodotto o l’ingresso su un nuovo mercato geografico. (riproduzione riservata)

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