IL FATTO
dalla Redazione
ASSINEWS 306 – marzo 2019
IL FATTO
Da un fatto di cronaca rileviamo che dopo una serie di lavori di manutenzione, consistenti nel rafforzamento dei solai e delle rampe di scale, erano state riscontrate macchie di umidità nelle pareti esterne e infiltrazioni di acqua piovana nei singoli appartamenti di uno stabile, oggetto di lavori di manutenzione. Si trattava di difetti che compromettevano il normale utilizzo dell’immobile.
L’impresa che aveva effettuato i lavori aveva escluso le sue responsabilità sostenendo che aveva eseguito degli interventi su un immobile già realizzato da altri da più di dieci anni. I proprietari convenivano quindi in giudizio la società venditrice e la società che su incarico di quest’ultima aveva eseguito sull’edificio interventi di ristrutturazione edilizia, con richiesta di condanna, in solido tra loro, al risarcimento dei danni consistenti in un esteso quadro fessurativo esterno ed interno delle pareti del fabbricato ed altri gravi difetti di costruzione.
Nel resistere in giudizio entrambe le convenute chiamavano in causa la società che aveva eseguito gli intonaci, per esserne tenute indenni. Il Tribunale, ritenuta la ricorrenza di gravi difetti dell’opera, accoglieva la domanda e condannava le società convenute al pagamento della somma di € 71.503,50, a titolo di responsabilità per danni ex articolo 1669 del codice civile.
In cosa consiste un “grave difetto di costruzione?”
L’APPROFONDIMENTO
In cosa consiste un “grave difetto di costruzione”?
Secondo la costante giurisprudenza: «l’estremo del grave difetto di costruzione, a differenza di quelli che determinano rovina totale o parziale dell’edificio, può anche consistere in una menomazione che, pur riguardando una parte soltanto dell’opera, incida sulla funzionalità della stessa, impedendole di fornire l’utilità cui è destinata per lungo lasso di tempo».
Bisogna ricordare che ai fini della responsabilità dell’appaltatore costituiscono gravi difetti dell’edificio non solo quelli che incidono in misura sensibile sugli elementi essenziali delle strutture dell’opera, ma anche quelli che riguardano elementi secondari ed accessori: impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, purché questi difetti siano tali da compromettere la funzionalità globale dell’opera stessa e che, anche senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possano essere eliminati finanche solo con gli interventi di manutenzione ordinaria e cioè con opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o con opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
Fin qui probabilmente nulla di nuovo, la novità che però il fatto esaminato ci prospetta è davvero interessante.
È infatti emerso che non solo le imprese di costruzione, ma anche quelle che effettuano lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria sono responsabili per dieci anni degli eventuali difetti.
L’articolo 1669 del codice civile stabilisce la responsabilità dell’appaltatore per la rovina o i gravi difetti di edifici o immobili di lunga durata, che si manifestano nel corso di dieci anni dal loro compimento.
È sorto però un interessante contrasto in giurisprudenza in merito all’ambito di applicazione della garanzia da parte dell’appaltatore: egli risponde solo se il pericolo per l’edificio deriva da lavori di nuova costruzione o anche da opere di ristrutturazione?
Una prima sentenza, riferita ad un caso di opere d’impermeabilizzazione e pavimentazione del terrazzo condominiale d’un edificio preesistente, stabiliva che l’articolo 1669 del codice civile delimita con una certa evidenza il suo ambito di applicazione alle opere aventi ad oggetto la costruzione di edifici o di altri beni immobili di lunga durata, ivi inclusa la sopraelevazione di un fabbricato preesistente, di cui ravvisa la natura di costruzione nuova ed autonoma; non anche, però, le modificazioni o le riparazioni apportate ad un edificio o ad altre preesistenti cose immobili.
La conseguenza è che ove non ricorra la costruzione d’un edificio o di altre cose immobili di lunga durata, ma un’opera di mera riparazione o modificazione su manufatti preesistenti, non è applicabile l’articolo 1669 del codice civile ma, ricorrendone le condizioni, le norme sulla garanzia ex articolo 1667 del codice civile.
Di segno opposto una sentenza più recente, secondo cui risponde ai sensi dell’articolo 1669 del codice civile anche l’autore di opere realizzate su di un edificio preesistente, allorché queste incidano sugli elementi essenziali dell’immobile o su elementi secondari rilevanti per la funzionalità globale. In quella fattispecie, le opere avevano riguardato lavori di straordinaria manutenzione presso uno stabile condominiale, consistiti nel rafforzamento dei solai e delle rampe delle scale, queste ultime ricostruite completamente.
LA GIUSTIZIA
Il fatto di cronaca preso in esame è giunto fino al vaglio della Corte di Cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza 27 marzo 2017, n. 7756.
La Suprema Corte di legittimità analizza l’ambito di applicabilità della responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti di cose immobili, secondo quanto disposto dall’articolo 1669 del codice civile, dirimendo un contrasto ed estendendo l’ambito di detta fattispecie.
Le sezioni unite, aderiscono all’orientamento meno restrittivo, ritenendo che anche opere più limitate, aventi ad oggetto riparazioni straordinarie, ristrutturazioni, restauri o altri interventi di natura immobiliare, possono rovinare o presentare evidente pericolo di rovina del manufatto, tanto nella porzione riparata o modificata, quanto in quella diversa e preesistente che ne risulti altrimenti coinvolta per ragioni di statica.
Già con precedenti pronunce della Corte di Cassazione si è ritenuto che sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’articolo 1669 del codice civile, anche lo scollamento e la rottura, in misura percentuale notevole rispetto alla superficie rivestita, delle mattonelle del pavimento dei singoli appartamenti; la pavimentazione interna ed esterna di una rampa di scala e di un muro di recinzione; opere di pavimentazione e di impiantistica; infiltrazioni d’acqua, umidità nelle murature e in generale problemi rilevanti d’impermeabilizzazione; un ascensore panoramico esterno ad un edificio; l’inefficienza di un impianto idrico; l’inadeguatezza recettiva d’una fossa biologica; l’impianto centralizzato di riscaldamento; il crollo o il disfacimento degli intonaci esterni dell’edificio; il collegamento diretto degli scarichi di acque bianche e dei pluviali discendenti con la condotta fognaria; infiltrazioni di acque luride.
Da quanto esposto se ne ricava, inconfutabile nella sua oggettività, un dato di fatto: è del tutto indifferente che i gravi difetti riguardino una costruzione interamente nuova. La circostanza che le singole fattispecie siano derivate o non dall’edificazione iniziale di un fabbricato non muta i termini logicogiuridici di quasi mezzo secolo di giurisprudenza.
Deve quindi ritenersi che ove l’opera appaltata consista in un intervento di una ristrutturazione, quantunque non in una nuova costruzione, l’articolo 1669 del codice civile sia ugualmente applicabile.
Le sezioni unite formulano il seguente principio di diritto: “l’articolo 1669 del codice civile è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che rovinino o presentino evidente pericolo di rovina o gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.
La Corte osserva altresì che la categoria dei gravi difetti tende a spostare il baricentro dell’articolo 1669 del codice civile dall’incolumità dei terzi alla compromissione del godimento normale del bene, e dunque da un’ottica pubblicistica ed aquiliana ad una privatistica e contrattuale.
Lavori di modifica: quali sono le responsabilità dell’impresa che le effetua?
Il dettaglio Secondo i giudici, in base all’articolo 1669 del codice civile, l’impresa che effettua lavori di modifica di un immobile preesistente, ha le stesse responsabilità del costruttore. L’articolo 1669 del codice civile prevede che, negli edifici o altre cose immobili destinate alla lunga durata, il soggetto che ha realizzato l’opera è responsabile per dieci anni dal compimento nei confronti del committente per gli eventuali difetti di costruzione o per i danni causati.
La Corte ha spiegato che il termine di compimento non si riferisce solo all’intero edificio, ma anche alla singola opera realizzata successivamente.
Allo stesso modo, per costruzione non si intende la realizzazione ex novo dell’immobile, ma qualunque intervento costruttivo. Per questi motivi, anche chi effettua lavori di manutenzione o riparazione è responsabile per dieci anni nei confronti del committente se i difetti compromettono la funzionalità di una parte o di tutto l’edificio e se per rimuoverli sono necessari ulteriori lavori di manutenzione.
Un piccolo brivido potrebbe quindi colpire chi, poco attento a questa evoluzione giurisprudenziale, continua a sostenere che la garanzia postuma acquistata dall’assicuratore per fatti occorsi nei due anni successivi alla consegna dei lavori, rispondente al disposto dell’articolo 1667 del codice civile, sia ancora adeguata al rischio.
Se esaminiamo le tipologie di interventi manutentivi che negli anni hanno visto applicato il principio della responsabilità decennale postuma per gravi difetti dell’opera, ci accorgiamo che non manca davvero niente: gravi difetti dell’opera manutentiva
• Scollamento e rottura di mattonelle del pavimento;
• posa pavimentazione interna ed esterna di una rampa di scala e di un muro di recinzione; • posa di pavimentazione e di impiantistica;
• impermeabilizzazione con causa di infiltrazioni d’acqua e umidità nelle murature;
• montaggio di un ascensore panoramico esterno ad un edificio;
• inefficienza di un impianto idrico;
• inadeguatezza recettiva d’una fossa biologica;
• malfunzionamento di impianto centralizzato di riscaldamento;
• crollo o disfacimento degli intonaci esterni dell’edificio;
• collegamento diretto di scarichi acque bianche e pluviali discendenti con la condotta fognaria;
• infiltrazioni di acque luride.
La coperta dei due anni di copertura postuma è diventata davvero troppo corta, sarà forse il caso di allungarla un po’, prima che ci capiti qualche malanno.
