Secondo Ortolani (Eurofer) servono iniziative per ampliare il numero di aderenti alla previdenza complementare. Ecco come riuscirci
di Carlo Giuro

Il fondo pensione negoziale Eurofer, dedicato ai dipendenti ai quali si applica il contratto nazionale delle attività ferroviarie, di Anas e nuovo trasporto viaggiatori è stato tra i fondi che hanno deciso di sperimentare l’adesione contrattuale. Questo ha fatto sì che siano iscritti ad Eurofer quasi tutti i potenziali aderenti, ma solo poco più di 2.700 persone, al 31 dicembre 2018, hanno aderito completamente con la contribuzione. «I tassi di adesione a Eurofer sono sicuramente positivi e in linea con gli altri fondi. La percentuale però si aggira intorno al 50% della nostra platea e per questo riteniamo che ci sia ancora molto lavoro da fare affinché il numero possa crescere», dice Fabio Ortolani, presidente di Eurofer che aggiunge: « L’adesione contrattuale prevede l’iscrizione ad Eurofer di tutti i lavoratori del gruppo FS e Anas, con un versamento da parte dell’azienda di circa 100/120 euro annui, a cui eventualmente il lavoratore può aggiungere il proprio Tfr e altri contributi. È evidente che con la cifra versata dall’azienda non si possa creare una previdenza complementare degna a garantire un futuro roseo agli iscritti.

La nostra sfida per i prossimi anni sarà quindi quella di ampliare la platea degli aderenti», dice Ortolani. Una sfida che riguarda l’intero settore della previdenza complementare. «La previdenza complementare ha subito un rallentamento dopo la spinta iniziale data dalla famosa campagna sul Tfr che ha seguito l’introduzione della riforma del 2005 ed entrata in vigore nel 2007», dice Ortolani. Che sul tema di come rilanciare le iscrizioni dice: «La ricetta è unica e valida fin dalla costituzione è basata sulla formazione e informazione dei cittadini italiani. Dal 2007, i governi non hanno più investito un euro per informare gli italiani sul loro futuro pensionistico, anzi l’idea che balena è sempre di come utilizzare le ingenti risorse accumulate negli anni dai fondi pensioni per il funzionamento economico del Paese. Ritengo però che anche noi operatori del settore, fondi pensione privati e negoziali, dobbiamo fare ammenda e cercare di capire cosa non abbia funzionato adeguatamente e cercare di fare di più per accrescere le adesioni». Continua Ortolani: «Come tutti possono osservare, le pensioni sono sempre al centro del dibattito pubblico, ma difficilmente si sente parlare di previdenza complementare, che potrebbe invece essere un aiuto importante. A volte l’idea è che si sia pensato solo a gestire gli iscritti e a rispondere alle piccole e nuove modifiche normative introdotte più che a fare opera di propaganda e sensibilizzazione per aumentare la platea degli iscritti». L’introduzione di una maggiore flessibilità in uscita con Quota 100 fa tornare in primo piano il tema. «Quota 100 nasce per permettere ai lavoratori dipendenti di uscire in anticipo dal mondo del lavoro, ma a prezzo di un assegno pensionistico più basso, anche grazie a coefficienti di calcolo che agiscono sul montante accumulato e che si riducono proporzionalmente all’età del pensionamento e all’ammontare versato.

Per questo motivo è ragionevole pensare che si renderà necessario un incremento esterno della rendita per mantenere lo stesso tenore di vita, grazie soprattutto alla previdenza integrativa», dice Ortolani. Che aggiunge: «È opportuno pensarci con anticipo in quanto l’entità della rendita complementare dipenderà dal numero di anni durante i quali sono stati prodotti i versamenti, oltre che dal loro ammontare. I vantaggi tuttavia possono riguardare anche chi è già vicino alla pensione, perché potrà ricevere l’intera somma accumulata in un’unica soluzione (rendita totale in capitale) nel caso in cui la rendita annua derivante dalla conversione del 70% del montante finale dovesse essere inferiore alla metà della pensione sociale pari a 5.889 euro annui per il 2018».
Infine per quanto riguarda l’effetto dell’innalzamento dello spread sui rendimenti dei fondi pensione Ortolani sottolinea: «Le risposte sono state differenti tra i gestori internazionali che hanno ridotto all’osso l’esposizione in Italia, cosa che comunque non ha consentito di evitare la perdita perché non fatta tempestivamente, mentre quelli italiani hanno valutato l’ampliamento dello spread come un’opportunità di rendimento e per questo detengono posizioni lunghe molto rilevanti». (riproduzione riservata)

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