La nomina a dg da parte del Consiglio Superiore è arrivata dopo anni spesi per un’Unione bancaria più efficiente ed equa, nella quale l’Italia non fosse sotto il giogo di altri Paesi. Ecco le lotte su npl, requisiti di capitale, titoli illiquidi e gestione delle crisi
di Francesco Ninfole

Fabio Panetta potrebbe diventare da maggio direttore generale della Banca d’Italia (e presidente Ivass) dopo aver avuto un ruolo chiave negli ultimi anni nel migliorare i meccanismi dell’Unione bancaria e nel difendere l’economia italiana da chi voleva tenerla sotto controllo con misure estreme. È stato un periodo storico difficile per il Paese. L’Italia si è trovata in una situazione di debolezza legata ai postumi della crisi del debito sovrano del 2011, ai continui cambi di governo e soprattutto alla recessione più forte dal Dopoguerra, che ha fatto esplodere i crediti deteriorati nei bilanci delle banche. La crisi ha inoltre fatto riemergere i contrasti tra Paesi nell’Eurozona.

Panetta, vice dg di Via Nazionale dal 2012, ha vissuto questi anni in una posizione delicata: dopo una vita passata nella politica monetaria, ha iniziato a occuparsi di supervisione nel 2014, diventando il primo esponente della Banca d’Italia nel Consiglio di Vigilanza della Bce. Questo nuovo organismo, nato quell’anno con l’Unione bancaria, ha avuto sin dall’inizio un’impostazione severa sui crediti deteriorati e sui titoli di Stato. Spesso è stato anche un modo per tenere al guinzaglio l’osservato speciale dell’Eurozona. Il Paese con il più alto debito pubblico, con la crescita più bassa e con il maggiore ammontare di non-performing loans. L’Italia, ovviamente. La Vigilanza guidata dalla francese Danièle Nouy e dalla vicepresidente tedesca Sabine Lautenschlaeger, mentre stringeva i controlli su prestiti (l’attività tipica delle banche) e bond pubblici (tra i più liquidi e sicuri), dimenticava gli strumenti illiquidi, presenti in grande quantità nelle banche francesi e tedesche. Su questi temi Panetta non ha accettato di farsi mettere piedi in testa. È stato una voce fuori dal coro all’interno di un leitmotiv europeo che ha demonizzato l’attività creditizia e chiuso un occhio su quella speculativa, nonostante la lezione di Lehman Brothers. Peraltro l’omogeneità dei controlli è fondamentale per una equa riduzione dei rischi in vista di una loro condivisione nell’Unione bancaria. In caso contrario, Germania e Francia potrebbero condividere nell’Eurozona i problemi delle loro banche, dopo aver eliminato quelli negli istituti del Sud Europa. A lungo Panetta è stato l’unico a parlare di rischi di mercato e dei titoli di livello 2 e 3, analizzati in seguito dal Fmi e citati più volte dal presidente Bce Mario Draghi. Anche la Vigilanza ha iniziato a muovere i primi passi. Sui titoli di Stato, il banchiere centrale ha scritto un paper già nel 2014, evidenziando i problemi di eventuali strette normative.

Sarebbe sbagliato pensare che la linea di Panetta sia stata un modo per favorire le banche italiane. Le sofferenze sono scese del 62% rispetto a novembre 2015: da 89 a 33 miliardi. Un calo che ha superato le attese più ottimistiche. L’obiettivo di Panetta è stato un altro: ricordare l’esistenza di un «limite di velocità» nello smaltimento dei crediti deteriorati, oltre il quale va fuori strada l’economia: i fondi esteri acquistano npl a prezzi da saldo e incassano grandi guadagni, mentre le banche registrano eccessive minusvalenze e riducono il credito. Un problema soprattutto in Italia, dove le imprese sono perlopiù medio-piccole e legate ai prestiti bancari.
In quest’ottica va letta anche la battaglia sulle regole Bce sui crediti deteriorati. Il fronte nordeuropeo ha spinto in modo compatto con l’addendum per svalutare i nuovi npl in modo automatico nel tempo. Il provvedimento è stato varato nonostante l’opposizione di Bankitalia, ma poi è stato ottenuto un chiarimento sulla natura della normativa: i requisiti andranno definiti caso per caso, quindi non in modo omogeneo per tutte le banche. Stesso principio per gli stock di npl, per i quali è stata abbandonata la linea ultrarigida proposta inizialmente da Nouy. Quanto ai nuovi flussi di npl, Panetta è stato un punto di riferimento per il Parlamento Ue, che ha poi definito una legislazione primaria meno rigida sulla materia.
Sempre in difesa dei prestiti all’economia, Panetta ha sottolineato più volte il problema della «transizione» verso un sistema più stabile, nel quale le banche hanno più alti livelli patrimoniali: nel passaggio il credito può diminuire, in attesa di un maggior peso dei mercati nei finanziamenti. Insomma anche sui requisiti di capitale bisogna andare cauti, se non si vuole danneggiare una ripresa rimasta sempre fragile, nonostante la spinta del braccio monetario della Bce. Il ruolo dei supervisori secondo Panetta non è quello (semplice) di imporre richieste sempre più stringenti, ma quello (molto più complicato) di trovare un equilibrio con le esigenze della crescita: «Il whatever it takes non è una strategia saggia nella supervisione», ha osservato.
Una buona parte del lavoro di Panetta negli ultimi anni è stato rivolto alle crisi bancarie, dalle quattro banche (obbligate a una rapida risoluzione per scongiurare il bail-in), alle due venete (per cui si è trovata la strada dell’aiuto alla liquidazione) e a Mps (arrivata alla ricapitalizzazione preventiva). Di volta in volta si è dovuto trovare nuove strade, nel caos delle nuove regole europee. Le procedure Ue e il bail-in, criticati da Bankitalia già nel 2013 prima della loro introduzione, hanno complicato la difesa della stabilità finanziaria, togliendo anche strumenti efficaci nei dissesti come gli interventi preventivi dei fondi interbancari (ora riabilitati dopo la sentenza del Tribunale Ue che ha annullato l’interpretazione della Commissione su Tercas). Già nell’ottobre 2015 Panetta aveva contestato gli orientamenti Ue sul Fitd: usare il Fondo avrebbe cambiato in modo significativo la storia dei dissesti e l’impatto su banche e risparmiatori.
Da molti Panetta è stato indicato come modello di un’Italia che si fa ancora valere in Europa grazie alla competenza e alla capacità negoziale. Pur partendo in molte occasioni da posizioni di minoranza, ha ottenuto il sostegno di molti membri della Vigilanza Bce grazie a un metodo di argomentazione analitico. Per il lavoro svolto ha ricevuto apprezzamenti anche da partiti in modo trasversale, pur muovendosi sempre nell’interesse del Paese, senza cercare sponde politiche. Alle spalle ci sono anni intensi, ma i prossimi potrebbero esserlo altrettanto. Non si può escludere un’altra recessione e un incremento del rapporto debito/pil. Uno scenario da evitare a ogni costo, anche per scongiurare nuovi problemi per le banche. (riproduzione riservata)

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