di Elena Correggia

La tecnologia si rivela un ausilio importante per supportare lo specialista nella diagnosi precoce del morbo di Parkinson e l’ottimizzazione della terapia. È quanto rivelano i primi risultati del progetto Daphne e dello studio Casanova, frutto di una collaborazione fra l’Unità operativa di Neurologia dell’Ospedale Apuane di Massa, l’Istituto di biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e l’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa. L’indagine, che ha già coinvolto alcune centinaia tra soggetti sani e pazienti con malattia di Parkinson, ha dimostrato la validità della strumentazione wireless superleggera impiegata per la misurazione quantitativa e l’analisi dei movimenti degli arti superiori, inferiori e del cammino. I sensori indossabili (a livello di dorso del piede, polso e falangi delle dita delle mani) sono collegati via bluetooth a un computer con software dedicato che trasforma le informazioni registrate in misure motorie di interesse clinico. In prospettiva questi strumenti potranno essere utilizzati anche al domicilio del paziente, con la possibilità di un monitoraggio a distanza via pc o smartphone da parte dello specialista.
«Il Parkinson è una malattia che viene attualmente diagnosticata attraverso il riconoscimento di sintomi motori quale tremore agli arti, rallentamento motorio e rigidità muscolare, quando in realtà il processo patologico è già iniziato da 5-7 anni», spiega il dottor Carlo Maremmani, dell’Unità operativa di neurologia dell’Ospedale Apuane di Massa, «disporre invece di strumenti come questi sensori che aiutano a diagnosticare in anticipo la patologia e a iniziare quindi una terapia neuroprotettiva e neurorestorativa prima della sua manifestazione clinica incrementa le possibilità di successo della cura. Inoltre, questi dispositivi rappresentano un prezioso supporto nell’individuazione della terapia più adeguata». In particolare i sensori wireless forniscono un’informazione precisa riferita alla velocità del movimento, alla sua regolarità e ampiezza e sono in grado di registrare anche tremori di lieve entità che non sarebbero percepibili attraverso la semplice osservazione.
«Questa tecnologia offre quindi allo specialista una misura oggettiva dell’alterazione del movimento del paziente, un prezioso vantaggio rispetto alla sola analisi osservazionale», continua Maremmani, «inoltre, con l’estensione della rilevazione su un’ulteriore popolazione di soggetti sani e di pazienti, ci prefiggiamo di definire un intervallo di misure normative di riferimento per la messa a punto di una scala di valutazione obbiettiva motoria quale strumento per comprendere la presenza o meno di precoci segnali della malattia». Possibili indizi del Parkinson potrebbero poi essere veicolati dalle lacrime, secondo un interessante studio preliminare, condotto presso la Keck School of medicine dell’University of Southern California di Los Angeles. I ricercatori hanno infatti studiato varie proteine prodotte dalle cellule secretorie della ghiandola lacrimale, stimolate dai nervi nel compiere questa attività. Poiché il Parkinson può influenzare la funzione dei nervi fuori dal cervello, gli scienziati hanno ipotizzato che qualsiasi cambiamento nella funzione nervosa possa essere riscontrato nei livelli delle proteine contenute nelle lacrime. Ora lo studio dovrà proseguire su gruppi più ampi di persone per verificare se questi cambiamenti proteici nelle lacrime sono rilevabili nelle prime fasi asintomatiche della patologia. In tal caso si potrebbe disporre di un marker biologico poco costoso e non invasivo allo scopo di anticipare diagnosi e trattamento della patologia. (riproduzione riservata)
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