Ci saranno due anni di ciclo positivo, grazie alle riforme
 Pagina a cura di Roxy Tomasicchio 

 

L’Italia ha una finestra temporale di quasi due anni, 18 mesi per la precisione, in cui ci sarà ulteriore crescita. Ma in questo periodo bisogna rendere la vita più semplice alle piccole e medie imprese, per non far sfumare questo potenziale. Le riforme fin qui approvate stanno dando i frutti, ma può non bastare. Non tanto per l’incertezza politica di queste prime ore post voto, quanto piuttosto per le tante incognite che incombono su Italia ed Europa, dagli esiti della Brexit, alla locomotiva tedesca «azzoppata» da una coalizione più debole del passato, fino ad arrivare alla frammentazione.

A tratteggiare questo scenario è il rapporto di Euler Hermes, società del gruppo Allianz specializzata in assicurazione crediti, «L’Italia delle Imprese – Outlook 2018», presentato nei giorni scorsi a Milano, assieme all’indicazione delle principali leve macroeconomiche che potranno consentire al paese di liberare più risorse per crescere.

È lo stesso scenario economico globale, «per la prima volta dal 2010», a essere favorevole, come ha spiegato Ludovic Subran, capo economista di Euler Hermes e responsabile della ricerca macroeconomica di Allianz: «c’è allineamento sulla crescita del commercio mondiale. Per fortuna», ha aggiunto Subran, «siamo tornati a cicli finanziari a noi noti come quelli registrati nel 1999 e 2004». Tradotto in percentuali: è stimata una crescita del pil dell’1,4% nel 2018 e 1,2% nel 2019. L’economia sarà sostenuta dai consumi privati (+1%), dagli investimenti (+4,4%) e dall’export (+4,4% in termini reali). Il previsto perdurare dell’Euroboom nel 2018 (il pil dell’area euro farà registrare, stando alle stime, il +2% nel 2018, per il quarto anno consecutivo) assieme a una graduale normalizzazione della politica monetaria della Bce, rappresenteranno una rete di sicurezza per la fiducia degli investitori. Ciò significa che l’Italia crescerà a un tasso superiore a quello potenziale (0,7%) per almeno un altro paio di anni.

Su questi segni «più» non incombe, a parere del capo economista, l’ombra dell’esito delle urne. «Ogni trimestre di incertezza politica costa lo 0,2% del pil annuo», ha dichiarato, «surplus e riforme mettono al riparo, tanto che anche i mercati non hanno reagito male. Sono quasi immunizzati dal rischio politico. C’è una sorta di resilienza verso il rischio politico». Piuttosto i rischi sono altri. Primo tra tutti la frammentazione e le misure protezionistiche annunciate dal presidente americano Donald Trump. Subran ha calcolato, per esempio, per quanto riguarda l’acciaio, che su 356 milioni di export italiano il costo dei dazi ammonta a 120 milioni.

E nonostante la riduzione del 2017 (467 le misure in corso contro le 827 dell’anno precedente), gli Stati Uniti hanno inciso pesantemente con 90 nuove misure.

E poi ancora citando altre fonti di pericolo, «c’è la volatilità finanziaria in un contesto di normalizzazione dei tassi». Senza dimenticare la turbolenza: sono previste meno insolvenze ma grandi default. I grandi fallimenti registrati sono aumentati del 32% in Europa. «A fine 2017 il rischio di insolvenze si è ridotto, nonostante sia rimasto invece alto in aree quali Asia e Paesi emergenti. A rischiare di più», ha annunciato Subran, «sono le grandi imprese, quelle cioè con fatturati oltre i 50 milioni, e settori domestici che non riescono ad abbassare la tensione con l’export, quali le costruzioni, il retail, i servizi o i trasporti. E queste grandi insolvenze possono poi generare un effetto domino».Purtroppo, cioè, a pagarne le conseguenze potrebbero essere le piccole e medie imprese che invece godono al momento di buona salute. È di questo parere Massimo Reale, direttore commerciale di Euler Hermes Italia: «Il nostro punto di vista sono le pmi italiane che hanno fatto segnare incrementi rilevanti nei fatturati, soprattutto in quello che si può definire segmento tripla A (arredo, abbigliamento e agrifood). Migliorano, infatti, le condizioni di pagamento con un -38% sui mancati versamenti rispetto al 2013. Le insolvenze sono previste in calo, con tempi di incasso inferiori (a oggi sono di 85 giorni). Insomma il contesto è buono per cogliere opportunità per i prossimi 18 mesi e innovare, ma occorre incentivare i pagamenti più veloci tra le imprese e misure quali la fatturazione elettronica».

A questo proposito, lo studio Euler Hermes indica delle azioni e meccanismi virtuosi che vanno dall’aumento del potere di acquisto allo sblocco di finanziamenti e investimenti, al puntare sulle pmi per la crescita generale, valorizzare il brand Italia e costruire l’italianTech, che vuol dire trasformare l’Italia in leader nell’innovazione digitale.

Il peso delle riforme. Nel report si sostiene che l’Italia ha piantato i semi del proprio successo con le riforme implementate all’inizio della crisi (quindi anche in anticipo rispetto a Francia e Germania) ed estese a numerose aree, dal lavoro alla pubblica amministrazione alla giustizia civile. Gli investimenti del settore privato, per esempio hanno finalmente ripreso a crescere nel secondo semestre del 2017, sulla scia del piano Industria 4.0, che prevede incentivi fiscali per le aziende che investono in nuove tecnologie. Inoltre, il trend positivo del mercato del lavoro sospinto dal Jobs act, è riuscito a ridurre il tasso di disoccupazione ai livelli più bassi dal 2012.

E ancora: la riduzione della spesa pubblica è alla base dell’eliminazione di voci di spesa per un totale di 29,9 miliardi di euro nel 2017. L’Italia continuerà a promuovere la razionalizzazione della spesa pubblica (servizi elettronici, focus su assistenza sociale e sanitaria, appalti) e a migliorare la riscossione delle imposte. L’avanzo primario è una garanzia di credibilità: nel 2017 ammontava a +1,7% del pil, in aumento rispetto al dato del +1,5% del 2016 e, secondo le stime, arriverà a toccare il +2% nel 2018.

La spesa pubblica italiana, comunque, secondo l’analisi del colosso dell’assicurazione dei crediti, è caratterizzata da una maggior percentuale di spesa corrente che ha ridotto la spesa per gli investimenti. Liberare risorse per l’investimento in capitale fisico e umano è essenziale.

Ancor più perché i mercati finanziari hanno fiducia nella capacità di progresso dell’Italia.

Lo dimostrano le riforme fatte finora: quella della legge elettorale alla fine del 2017 ha contribuito a contenere l’incertezza politica nel periodo antecedente alle elezioni parlamentari. I rendimenti dei titoli, per esempio, hanno subito variazioni minime tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018. Inoltre, nell’ultimo anno la performance dei mercati azionari italiani ha superato quella delle controparti europee e gli spread dei Cds (Credit default swap), sono calati a seguito delle misure implementate dall’Italia per ridurre il rischio sistemico (ricapitalizzazione e ristrutturazione di varie banche dissestate, piano di consolidamento)

Anche gli italiani sono pronti. La fiducia delle imprese è a livelli record, mentre il sentimento nazionale per le riforme è positivo.

Gli italiani sono pronti a grandi cambiamenti: due terzi degli italiani intervistati nel 2017 ritengono che siano necessarie riforme profonde, contro il 47% dei francesi e il 26% dei tedeschi. L’ampio consenso sulla necessità di riforme in Italia è un dato che accomuna tutte le generazioni ed è particolarmente elevato nei giovani (61% degli italiani tra i 16 e i 29 anni considera le riforme in modo favorevole). L’attuale congiuntura economica è il momento ideale per portare avanti riforme indispensabili.

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