L’art. 190 del codice della strada, la cui rubrica recita “comportamenti dei pedoni”, apportando alcune varianti al testo della corrispondente norma previgente (ovvero all’art. 134 dei D.P.R. n. 393 dei 15.06.1959), ha inserito al comma 8, la seguente disposizione: “La circolazione mediante tavole, pattini od altri acceleratori di andatura è vietata sulle carreggiate delle strade”.

Inoltre il legislatore, oltre a riprodurre il testo invariato dell’abrogato comma 8, “È vietato effettuare sulle carreggiate giochi o manifestazioni sportive non autorizzate”, al comma 9, ha soggiunto “Sugli spazi riservati ai pedoni è vietato usare tavole, pattini od altri acceleratori di andatura che possano creare situazioni di pericolo per gli altri utenti”.

Il primo divieto è posto, evidentemente, nell’interesse prevalente di chi fa uso di tali strumenti perché sulla sede stradale potrebbe scontrarsi con autoveicoli e motoveicoli.

Il secondo divieto, invece, tende a tutelare prevalentemente i pedoni che potrebbero ricevere danni se urtati da coloro che si muovono su tavole, pattini, e strumenti similari.

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, n. 34, del codice della strada il parcheggio è un’area o un’infrastruttura fuori della carreggiata destinata alla sosta dei veicoli.

Dunque, evidentemente, si tratta di sito nel quale si riscontra il fisiologico transito sia di veicoli che di pedoni; e particolarmente delle persone che discendono dai veicoli o che vi si dirigono, nonché di veicoli che eseguono spesso complicate manovre.

Dunque, si verificano le medesime situazioni di rischio che giustificano il divieto di transito di “acceleratori di velocità” nelle carreggiate e nei siti destinati ai pedoni.

Pertanto, in ragione della funzione cui l’area di parcheggio assolve, il divieto di pattinaggio deve ritenersi esteso a tale sito.

Una diversa soluzione sarebbe irragionevolmente diversificata in presenza di situazioni di rischio omogenee; e determinerebbe l’assenza di normazione cautelare in un contesto che, come è agevole intendere alla luce della comune esperienza, mostra l’elevata possibilità di situazioni pericolose connesse anche alla velocità e difficile manovrabilità degli apparati di cui si parla.

In materia di incidenti stradali l’accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di un utente della strada con violazione di specifiche norme di legge o di precetti di comune prudenza non può di per sé far presumere l’esistenza della causalità tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere qualora sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta oppure che esso sia stato determinato esclusivamente da una causa diversa; circostanza quest’ultima configurabile, ad esempio, ove il conducente, per motivi estranei al suo dovere di diligenza, si sia trovato nella oggettiva impossibilità di avvistare un altro utente della strada e di osservarne tempestivamente i movimenti attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile.

Inoltre, l’inosservanza delle regole cautelari può dar luogo a una responsabilità colposa non in maniera indistinta per tutti gli eventi cagionati ma solo per quelli che appartengono a una certa tipologia che le norme stesse mirano a evitare.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 gennaio 2018 n. 2342