Nella circolazione stradale, le regole di condotta sono dettate dal codice della strada, con precetti che tuttavia non esauriscono la gamma delle condotte prudenti esigibili degli utenti della strada, in quanto anche condotte non espressamente previste dal codice potrebbero legittimamente pretendersi dagli automobilisti o dai pedoni, quando siano da loro esigibili alla stregua della diligenza esigibile dal buon padre di famiglia, ai sensi dell’art. 1176, comma primo, c.c.

Pertanto il giudice chiamato a valutare se la condotta tenuta dal conducente di un veicolo sia stata o non sia stata prudente, e come tale idonea a vincere le presunzioni di cui all’art. 2054, comma primo e secondo, c.c., deve innanzitutto ricostruire in facto quella condotta; e poi valutare in iure se essa sia conforme:

  • ai precetti del codice della strada;
  • alle regole di ordinaria prudenza esigibile nel caso concreto.

La regola principale cui ogni conducente deve attenersi è quella della salvaguardia dell’incolumità propria e altrui, dettata dall’art. 140, comma 1, cod. strada.

Tale norma stabilisce che gli utenti della strada devono sempre “comportarsi in modo da non costituire pericolo (…) per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale”.

“In ogni caso” vuol dire che su qualsiasi altra esigenza (di circolazione, di celerità, di efficienza di un servizio), prevale per la legge sempre e comunque la salvaguardia dell’incolumità delle persone.

Il successivo art. 191, comma 3, cod. strada, fin dal testo originario nel disciplinare la condotta dei conducenti rispetto ai pedoni, stabilisce che “i conducenti….devono comunque prevenire situazioni di pericolo che possano derivare da comportamenti scorretti o maldestri di bambini o di anziani, quando sia ragionevole prevederli in relazione alla situazione di fatto”.

Anche in questo caso la norma detta una prescrizione che non ammette deroghe.

Ora, sarebbe evidentemente assurda un’interpretazione del combinato disposto di queste due norme che portasse alla seguente conclusione: che il conducente di un veicolo a motore debba sorvegliare la strada dinanzi a sé, ma possa disinteressarsi dei pedoni che si trovino accanto e dietro il suo veicolo, anche quando sia possibile avvistarli con l’ordinaria diligenza e tanto più quando debba ripartire dopo averli fatti scendere dal veicolo condotto.

Una interpretazione di questo tipo, infatti, sarebbe incoerente con lo scopo della legge, che per quanto detto è garantire nel massimo grado possibile l’incolumità degli utenti della strada.

Le due norme appena ricordate vanno dunque lette nel loro insieme, e nel loro insieme esse esprimono un concetto molto semplice: poiché chi guida un autobus può provocare danni a chi circola a piedi, deve prestare particolare attenzione nella guida, in ragione dell’intrinseca pericolosità dell’attività svolta.

“Prestare particolare attenzione” vuol dire che il conducente di un veicolo a motore, soprattutto quando si tratti di veicoli di ingombranti dimensioni come gli autobus, prima di eseguire qualsiasi manovra deve accertarsi non solo che nel raggio d’azione del mezzo non vi siano pedoni, ma anche che non possano ragionevolmente entrarvi o interferirvi.

Il conducente di un mezzo di ingombranti dimensioni, dunque, ha l’obbligo di non iniziare o proseguire alcuna manovra, quando avvisti intorno a sé pedoni che tardino a scansarsi, e che possano teoricamente interferire coi movimenti del mezzo.

Questa è la regola di condotta che risulta dal combinato disposto degli artt. 140, comma 1, e 191, comma 4, del codice della strada.

Il conducente di un veicolo a motore, quando si veda contorniato o preceduto da pedoni, ha il dovere giuridico di prevenirne anche le eventuali scorrettezze, adeguando coerentemente la propria condotta di guida, e all’occorrenza arrestando la marcia.

Si è ritenuto, in particolare, che il conducente, quando sia accertata la presenza di bambini sul marciapiede lungo la traiettoria del veicolo, in caso di investimento per vincere la presunzione di cui all’art. 2054, comma primo, c.c., deve dimostrare che il pedone investito non avesse tenuto un comportamento che denunciasse il suo intento di attraversamento della strada, seppur di corsa e fuori dalle strisce pedonali.

La condotta anche anomala e imprudente di un pedone non vale di per sé a escludere la responsabilità dell’automobilista, ove tale condotta anomala del pedone fosse, per le circostanze di tempo e di luogo, ragionevolmente prevedibile, e che tale prevedibilità “deve ritenersi di norma sussistente con riferimento alla condotta dei bambini, in quanto istintivamente imprudenti, con la conseguenza che in presenza di essi, e massimamente in prossimità di istituti scolastici, l’automobilista ha l’obbligo di procedere con la massima cautela, e tenersi pronto ad arrestare il veicolo in caso di necessità”.

Il combinato disposto degli artt. 140, comma 1, e 191, comma 3, cod. strad., impone quindi al conducente di uno scuolabus di non riprendere la marcia, dopo aver fatto discendere i passeggeri, sino a quando questi ultimi non si siano portati a debita distanza dal mezzo, ovvero non si trovino in condizioni di non interferenza con le manovre di esso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 18 gennaio 2018 n. 1106