Il contratto sulla vita può essere a favore di un terzo o sulla vita di un terzo. Nel primo caso il beneficiario può essere inconsapevole della sua designazione mentre nel secondo il consenso del «portatore del rischio» è essenziale per la validità del contratto. Sono alcune delle caratteristiche «basiche» delle polizze vita, recentemente tornate in auge in relazione alle cronache politiche.

I contratti a favore di un terzo. L’art. 1920 del codice civile stabilisce al primo comma che «è valida l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo». In questo caso le parti del contratto diventano tre in quanto oltre all’assicuratore, cioè al soggetto designato a gestire le somme incassate attraverso un premio unico o ricorrente, interverrà un contraente cioè un soggetto che stipula l’assicurazione sulla vita, diventando titolare degli obblighi che discendono dal contratto come, in particolare, il pagamento del premio ed un beneficiario, ossia il titolare dei diritti derivanti dal contratto. Quest’ultimo è, in pratica, il creditore dell’obbligazione indennitaria cioè di colui a favore del quale l’assicuratore si obbliga al pagamento dell’indennizzo.

Per effetto della stipulazione, il beneficiario, che può essere designato anche genericamente (es.: il figlio, la moglie, gli eredi ecc.) acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione. L’atto attraverso il quale il contraente indica la persona alla quale l’assicuratore dovrà devolvere l’indennizzo, al verificarsi dell’evento previsto dal contratto, prende il nome di designazione (negozio giuridico unilaterale e recettizio, di norma riservato al contraente). Questa è un atto unilaterale in quanto per la sua validità non è necessaria alcuna accettazione né da parte dell’assicuratore, né del beneficiario e recettizio in quanto non può produrre effetti se non venga portata a conoscenza dell’assicuratore (art. 1920 c.c.). Nell’assicurazione a favore del terzo, il beneficiario inconsapevole può ovviamente rifiutare la prestazione. In questi casi essa si trasferirebbe in favore del contraente o dei sui eredi, secondo il principio di cui all’art. 1411, comma 3 c.c..

L’assicurazione sulla vita di un terzo. Diversa è la polizza stipulata sulla vita di un terzo regolamentata dall’art. 1919 c.c. In questo caso risultano diversi contraente e «portatore del rischio», intendendo per tale la persona fisica dalla cui morte o sopravvivenza dipende l’obbligo dell’assicuratore di pagare l’indennizzo. Quando il contraente non coincide con il portatore del rischio si ha un’assicurazione sulla vita altrui.

Vanno distinte le circostanze in cui l’assicurazione vale per il caso di vita o per il caso di morte del portatore del rischio. Nel primo caso (quando cioè l’assicuratore si obbliga al pagamento dell’indennizzo al raggiungimento di una determinata età da parte del portatore del rischio), infatti, la polizza è ammessa senza limitazione alcuna e quindi per la sua validità non è richiesta nessuna condizione particolare. Ben diversi risultano i presupposti richiesti per il caso di morte. In questi contratti, la validità dello stesso è subordinata al consenso della persona dalla cui morte dipende il pagamento dell’indennizzo. Il consenso del portatore di rischio, è necessario, ovviamente anche nelle assicurazioni vita miste. La ratio della norma appare evidente: garantire il soggetto sulla cui vita sia fatta tale stipula, atteso che a seguito della stessa sorge per il beneficiario un interesse alla sua morte.

Le assicurazioni sulla vita sono di quattro tipi:

1) assicurazione temporanee caso morte. L’indennizzo è dovuto in caso di morte della persona sulla cui vita è stipulata l’assicurazione. Sono uno strumento per garantire al beneficiario/i un capitale in caso di decesso dell’assicurato entro un dato periodo di tempo, cioè entro la durata contrattuale. Di norma il contratto prevede un periodo di carenza iniziale durante il quale non vale la copertura (generalmente sei mesi). Se l’evento si verifica durante tale periodo normalmente il contratto prevede la mera restituzione al contraente dei premi pagati;

2) assicurazione vita intera. In queste tipologie contrattuali l’assicuratore garantisce la prestazione (capitale o rendita) al beneficiario (di norma gli eredi) in caso di decesso dell’assicurato in qualsiasi momento esso avvenga. Tali contratti, a differenza delle assicurazioni temporanee caso morte non hanno una scadenza prefissata in quanto la loro durata coincide con la vita dell’assicurato e i premi versati non sono a fondo perduto. La gestione genera dei rendimenti i quali (almeno in parte) incremento la prestazione dell’assicuratore in caso di decesso dell’assicurato;

3) assicurazione per il caso vita (o in caso di sopravvivenza). Prevedono, a fronte del pagamento da parte del contraente di un premio unico o annuo (costante, rivalutabile o indicizzato), la corresponsione al beneficiario di un capitale o di una rendita solo nel caso di sopravvivenza dell’assicurato alla scadenza del contratto. Detti contratti appaiono particolarmente adatti ad effettuare un investimento o a soddisfare esigenze di previdenza complementare. Qui la maggior parte del premio versato è destinato alla capitalizzazione per essere restituito alla scadenza del contratto se l’assicurato è in vita. È prevista la possibilità che venga pattuita una contro assicurazione, cioè la restituzione dei premi pagati al netto delle imposte e delle tasse, eventualmente rivalutati, nel caso in cui l’assicurato deceda durante il differimento;

4) assicurazioni miste. Esse prevedono il pagamento al beneficiario di un capitale o di una rendita sia in caso di sopravvivenza dell’assicurato alla scadenza del contratto sia nel caso di decesso dello stesso nel corso della durata del contratto. Come per le polizze per il caso vita il premio può essere a rate annuali o unico e la maggior parte dello stesso è finalizzata alla capitalizzazione, ma detti contratti a differenza delle assicurazioni per il caso vita garantiscono anche un capitale in caso di decesso dell’assicurato durante il differimento del contratto.
Fonte:
logoitalia oggi7