di Sabrina Iadarola

Ape al via dal 1° maggio. Il governo nei prossimi giorni presenterà i decreti necessari per l’attivazione dell’anticipo pensionistico. A confermarlo è stato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, al termine dell’incontro svoltosi ieri a Roma con i Segretari Generali di Cgil, Cisl e Uil. «Stiamo lavorando per fare in modo che i decreti entrino in vigore il primo maggio» ha riferito il ministro. L’impegno assunto prevede sia l’attuazione dell’anticipazione della pensione sociale (Ape sociale) che volontaria. L’Ape volontaria riguarda chi decide di lasciare il lavoro volontariamente: deve aver maturato 20 anni di contributi e compiuto 63 anni di età. Il lavoratore dovrà chiedere un «prestito», a una delle aziende individuate, che verrà rimborsato dal lavoratore nel giro di vent’anni a partire dal pensionamento effettivo. Anche per l’Ape sociale bisogna aver compiuto 63 anni di età e maturato 30 di contributi, ma in questo caso il costo dell’operazione non sarà a carico dell’aspirante pensionato, bensì a carico dello Stato fino a un massimo di 1.500 euro. L’Ape sociale è inoltre riservata solo ad alcune categorie di lavoratori, come i disoccupati di lungo termine, i lavoratori che assistono a un familiare di primo grado con disabilità grave ed, ancora, coloro che hanno un grado di invalidità non inferiore al 74%.

C’è poi un’altra platea, quella che i sindacati vorrebbero ampliare. Si tratta dei lavoratori che hanno svolto per almeno sei anni lavori usuranti. Sono proprio le norme sull’Ape sociale a mantenere ancora criticità sia rispetto alle platee dei lavoratori (in particolare coloro che, una volta cessato un contratto a termine, non siano stati licenziati o non abbiano goduto di un ammortizzatore sociale) sia rispetto agli anni di contributi continuativi richiesti per accedervi (ovvero alla necessità di aver maturato a ridosso del pensionamento sei anni di attività continuativa richiesti ai lavoratori impegnati in attività gravose). Due punti che il governo non ha potuto modificare, spiega Poletti, e che dunque saranno inclusi nel decreto attuativo così come previsto dalle norme originarie, ma che saranno comunque ulteriormente discussi con Cgil Cisl e Uil in vista «di possibili modifiche da inserire nella prossima legge di Stabilità».

«In tema di platee e formulazioni abbiamo qualche assicurazione, ma non possiamo dare un giudizio prima di avere un pezzo di carta con il testo dei decreti», ha dichiarato Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. Fermo restando che sono tutti concordi, ministro da un lato, sindacati dall’altro, sul fatto che il metodo di lavoro sulle pensioni finora sia stato positivo. «La fase uno dell’intesa sulla previdenza si chiude con luci e ombre perché la scrittura delle norme nella legge di bilancio ne ha ridotto la capacità di raggiungere una platea più ampia di potenziali destinatari, ma resta la straordinaria positività di un intervento che dopo molti anni individua strumenti per una gestione più flessibile delle uscite dal lavoro», ha dichiarato il segretario confederale della Cisl, Maurizio Petriccioli. Ed è con lo stesso approccio collaborativo che si andrà ai prossimi appuntamenti del 6 e 13 aprile a affrontare nella fase due i temi prioritari in agenda: in primis il futuro previdenziale dei giovani e della loro ritardata entrata nel mondo del lavoro, e il tema della previdenza integrativa per un welfare più ampio. Quindi la governance dell’Inps (da gestire insieme al ministero dell’economia), la separazione tra previdenza e assistenza, il lavoro di cura.
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