Pagina a cura di Gianfranco Di Rago

Al via il c.d. leasing prima casa, incentivato economicamente e fiscalmente da una serie di misure introdotte dalla legge di Stabilità 2016 con decorrenza dallo scorso 1° gennaio e che, a conti fatti, appare più conveniente del mutuo. Per illustrare queste novità e chiare i dubbi più frequenti è stata realizzata una guida in collaborazione tra Assilea (Associazione italiana leasing) e Consiglio nazionale del notariato, con il contributo del Ministero dell’economia e delle finanze e con l’adesione di 11 tra le principali associazioni dei consumatori. La guida viene distribuita gratuitamente dai partner dell’iniziativa ed è inoltre scaricabile gratuitamente dai rispettivi siti web.

Il leasing immobiliare in generale. Si tratta di un’operazione di finanziamento che consente a un soggetto di ottenere l’utilizzo di un immobile e di acquistarne, al termine della durata prevista dal contratto, la proprietà, grazie alla somma di denaro messa a sua disposizione da un soggetto abilitato al credito, a fronte del pagamento di canoni periodici e del prezzo finale di riscatto. Mentre con il mutuo viene messa a disposizione del richiedente una somma di denaro per l’acquisto dell’immobile, con il leasing quest’ultimo può essere direttamente utilizzato e, un domani, riscattato, con il conseguente acquisto della proprietà. Ancora, mentre con la locazione l’immobile utilizzato rimane pur sempre di proprietà del locatore, nel leasing è invece prevista fin dall’inizio la predetta facoltà di riscatto a un prezzo prestabilito.

Il leasing per l’acquisto della prima casa. La legge di Stabilità 2016 ha quindi introdotto una serie di facilitazioni economiche e fiscali per il leasing immobiliare finalizzato all’acquisto della prima casa. La platea dei soggetti che possono fruire di questo strumento è però ristretta a quanti dichiarino un reddito complessivo non superiore a 55 mila euro. Questi ultimi, relativamente ai contratti stipulati a decorrere dallo scorso 1° gennaio e fino al 31 dicembre 2020, potranno quindi portare in detrazione dalla dichiarazione dei redditi i costi del leasing in misura più vantaggiosa rispetto alle agevolazioni concesse per i mutui ipotecari.

In particolare, per i giovani sotto i 35 anni, è prevista la detraibilità pari al 19% per i canoni (fino a un importo massimo di otto mila euro annui) e pari al 19% per il prezzo del riscatto (fino a un importo massimo di 20 mila euro). Per i soggetti con età uguale o superiore a 35 anni, invece, è possibile la detraibilità pari al 19% per i canoni (fino a un importo massimo di quattro mila euro annui) e pari al 19% del prezzo del riscatto (fino a un importo massimo di 10 mila euro). Per entrambe le categorie di soggetti l’imposta di registro sull’acquisto dell’abitazione prima casa è comunque ridotta all’1,5% e questo rende più conveniente per i privati il ricorso al leasing rispetto al mutuo ipotecario. Nel caso di un leasing cointestato a soggetti in possesso dei requisiti di cui sopra (ciascuno con un reddito complessivo non superiore a 55 mila euro e un’età inferiore a 35 anni), le agevolazioni in questione spettano a ciascuno di essi in misura proporzionalmente corrispondente alla percentuale di intestazione del contratto.

Le agevolazioni fiscali prescindono dalle caratteristiche oggettive dell’immobile. Le detrazioni spettano infatti per qualsiasi abitazione, anche se appartenente alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (queste ultime restano però escluse dalle agevolazioni prima casa per quanto riguarda l’imposta di registro). Volta per volta potrà quindi trattarsi di un edificio a uso abitativo già realizzato e dichiarato agibile, oppure di un fabbricato da costruire su uno specifico terreno o in corso di costruzione, oppure ancora di un’unità immobiliare da ristrutturare. Qualora la società di leasing acquisti l’abitazione dal costruttore, si applicherà l’aliquota Iva ridotta del 4%. L’Iva, così come le imposte d’atto e le spese notarili e peritali sull’immobile, può anche essere finanziata dalla società di leasing.

Le tutele per il privato consumatore. La normativa sul c.d. leasing prima casa prevede, con una disposizione davvero unica nel suo genere, che l’utilizzatore dell’immobile possa richiedere la sospensione del contratto in caso di perdita del lavoro, sia nel caso di rapporto subordinato sia nel caso di rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale e di collaborazione (purché rientranti fra le ipotesi previste dall’art. 409, comma 3, c.p.c.). La sospensione del contratto non è però prevista nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa. La sospensione, in ogni caso, non determina l’applicazione di alcuna commissione o spese d’istruttoria e deve avvenire senza richiesta di garanzie aggiuntive da parte della società di leasing.

Nel caso in cui il cliente si renda inadempiente al pagamento dei canoni dovuti, alla società di leasing è consentito, per il rilascio dell’immobile, di agire con il procedimento per convalida di sfratto. La legge di Stabilità 2016 ha quindi previsto che nella successiva attività di vendita e ricollocazione del bene la società di leasing debba attenersi a criteri di trasparenza e pubblicità nei confronti dell’utilizzatore inadempiente, adottando procedure che garantiscano il miglior risultato possibile nell’interesse anche dell’utilizzatore inadempiente. In ogni caso, una volta venduto e/o ricollocato il bene, la società di leasing deve restituire all’utilizzatore inadempiente quanto ricavato dalla vendita e/o ricollocazione, al netto dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione del contratto, dei canoni successivi alla risoluzione attualizzati, delle spese condominiali eventualmente sostenute (così come anche per le eventuali spese assicurative, tecnico/legali ecc.), nonché del prezzo pattuito per l’esercizio del riscatto finale.

Circa le spese di manutenzione del bene occorre però evidenziare come si ritenga che, diversamente da quanto accade nel rapporto di locazione, sia quelle ordinarie sia quelle straordinarie debbano essere poste a carico dell’utilizzatore, così come le spese condominiali, anche in questo caso senza distinzione tra interventi ordinari e straordinari.

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