di Christina Feriozzi e Luciano De Angelis

Un bilancio è non rispondente al vero quando non è predisposto seguendo il complesso di norme e principi che ne disciplinano la redazione. Ma un bilancio non corretto non è per questo anche falso. La falsità per manifestarsi richiede l’elemento soggettivo della frode. Solo il richiamo all’applicazione dei principi contabili nazionali e internazionali può delineare il confine per la configurazione del reato. Lo si legge nel Quaderno Assirevi n. 20-marzo 2016, «La riforma del falso in bilancio 2015».

Bilancio falso e bilancio non corretto. La considerazione che un bilancio possa considerarsi non rispondente al vero qualora non sia predisposto seguendo il complesso di norme e principi che ne disciplinano la redazione (framework contabile di riferimento), permette, secondo Assirevi, di delineare solo l’elemento soggettivo della fattispecie di falso in bilancio. Questo, tuttavia, costituisce uno dei presupposti necessari per la configurazione del reato, ma affinché un bilancio non corretto possa avere rilevanza ai fini penali è indispensabile anche la sussistenza dell’elemento soggettivo ossia della «frode». In prima istanza, quindi, per Assirevi, un bilancio non fornisce un quadro fedele della situazione economico patrimoniale di una società quando il documento è viziato da errori qualificabili come «significativi» sulla base di un criterio non solamente quantitativo ma anche di natura qualitativa. Tale assunto, si precisa nel quaderno, è confermato sia dal contenuto dei Principi contabili nazionali (Oic 11 e Oic 29) che dalle previsioni degli Ias/Ifrs che introducono il concetto di «significatività» o «materialità» che costituisce il limite entro il quale tali errori e difformità non hanno effetto rilevante sui dati di bilancio e sul loro significato per i destinatari. L’applicazione di tale concetto, vale, senza differenze di impostazione, sia per le società chiuse che per quelle aperte. Aderendo alla tesi secondo cui non sembra possibile escludere sic et simpliciter il problema delle valutazioni dall’indagine sul falso in bilancio, Assirevi sostiene che la valutazione rappresenta lo strumento che consente di misurare, esporre e comunicare il fatto materiale (rilevante). Tecnicamente, quindi, non è possibile esporre un qualunque fatto relativo alla gestione aziendale senza che i relativi effetti siano tradotti in valori rilevabili nel bilancio, attraverso la relativa attività di valutazione (in tal senso anche Oic 29).

Il ruolo dirimente dei principi contabili. A seguito della riforma degli art. 2621 e 2622 cc e delle pronunce di Cassazione 33774/2015 e 6916/2016 che escludono dall’ambito di applicazione delle citate norme il falso valutativo, intervallate dal revirement della Cassazione penale 890/2016, la questione è rimessa alle sezioni unite. In tale diatriba, interviene Assirevi, in aderenza alle motivazioni sostenute dalla Cassazione n. 890/16 secondo la tesi estensiva che gli articoli 2621 e 2622 cc continuino a prevedere la rilevanza penale delle falsità relative alle valutazioni iscritte a bilancio. In tal senso nel quaderno in commento, si evidenzia che anche grazie al contributo fornito dalla sentenza n. 890 non possa più essere negata l’importanza assoluta, anche in ambito penale, delle regole tecnico contabili fornite dai principi contabili nazionali e internazionali di riferimento. Tali principi, benché non espressamente richiamati dal codice devono essere presi a riferimento nella redazione del bilancio con funzione integrativa e di ausilio interpretativo delle norme di cui agli artt. 2423 cc e ss. Ciò per garantire una meno discrezionale applicazione della disciplina delle false comunicazioni sociali. Il richiamo a detti principi, ad avviso di Assirevi, risulterebbe molto utile anche al fine di determinare, senza l’uso di soglie meramente quantitative, quale sia il falso rilevante idoneo a trarre in inganno i destinatari di comunicazioni sociali.
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