La normativa italiana, che non impone misure di prevenzione e di riparazione a carico dei proprietari non responsabili dell’inquinamento dei loro terreni, è compatibile con il diritto dell’Unione. Lo ha affermato ieri la Corte di giustizia europea con sentenza nella causa C-534/13 (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e a. /Fipa group srl e a.). Tutto nasce tra il 2006 e il 2001, quando le società Tws automation, Ivan e Fipa group, divenute proprietarie di diversi terreni situati nella provincia di Massa Carrara, in Toscana, gravemente contaminati da sostanze chimiche in seguito alle attività economiche svolte dai precedenti proprietari, appartenenti al gruppo industriale Montedison, si videro ordinare dalle autorità italiane di realizzare una barriera idraulica di emungimento per la protezione della nappa freatica. Il Consiglio di stato, adito in appello con ricorsi avverso le corrispondenti decisioni amministrative, ha constatato che la legislazione italiana non consente di imporre al proprietario non responsabile della contaminazione la realizzazione di misure di prevenzione e di riparazione e limita la sua responsabilità patrimoniale al valore del suo terreno. Ha quindi chiesto alla Corte di giustizia se tali norme nazionali siano compatibili con il principio «chi inquina paga» cui dà attuazione la direttiva. La Corte risponde che la normativa italiana è conforme alla direttiva. Essa ricorda la costante giurisprudenza in base alla quale il principio «chi inquina paga» (articolo 191, paragrafo 2, Tfue), si rivolge all’azione dell’Unione, cosicché tale disposizione non può essere invocata in quanto tale da privati o da autorità amministrative. La Corte analizza i presupposti della responsabilità ambientale, quali previsti nella direttiva, soffermandosi, in particolare, sulla nozione di «operatore» e sulla necessità della sussistenza di un nesso causale tra l’attività dell’operatore e il danno ambientale. E precisa che le persone diverse dagli operatori non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva e che, quando non può essere accertato alcun nesso causale tra il danno ambientale e l’attività dell’operatore, tale situazione non rientra nel diritto dell’Unione, bensì nel diritto nazionale.