di Beatrice Migliorini

I versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare prima della riforma del 1993 hanno natura previdenziale e non retributiva. Tali somme, quindi, non rientrano nella base di calcolo del Tfr. A stabilirlo, le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 4949/15 del 4 marzo scorso. La vicenda nasce dalla richiesta avanzata da ex dipendente della Cassa di risparmio di Rieti nei confronti dell’istituto di credito di vedersi riconosciute, in aggiunta la Tfr, le somme versate fino al 28 aprile 1993 (data di entrata in vigore della riforma) dal datore di lavoro al Fondo di integrazione delle pensioni Inps alla quali, ad avviso del lavoratore, doveva essere riconosciuta natura retributiva. Tesi che ha trovato riscontro sia in primo sia in secondo grado ma che è stata ribaltata dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione. Ad avviso della Corte, infatti, deve trovare conferma l’orientamento giurisprudenziale in base al quale «i versamenti effettuati in favore dei fondi di previdenza prima della riforma del 1993 non possono essere considerati di natura retributiva per la ragione essenziale che gli stessi non sono corrisposti ai dipendenti ma direttamente versati al fondo». La nozione di retribuzione è, infatti, caratterizzata da un requisito principe: l’effettivo passaggio di ricchezza dal datore di lavoro al lavoratore. Ad avvalorare la tesi dei Supremi giudici, anche il fatto che i versamenti sono stati esclusi dalla soggezione alla contribuzione ordinaria e assoggettai al solo contributo di solidarietà (10%) in favore delle gestioni pensionistiche di legge alle quali erano iscritti i lavoratori. «Alla luce di queste considerazioni», ha concluso la Corte, «con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta con il dlgs 124/1993, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi previdenza complementare hanno, a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione, natura previdenziale e non retributiva».