di Anna Messia

A suonare l’allarme è stata Generali, che presentando il bilancio 2014, il 12 marzo scorso, ha comunicato le sue stime sull’economic Solvency ratio per il 2014. Non si può dire con certezza che tale dato corrisponderà al nuovo Solvency II di Generali, visto che sono ancora da definire importanti dettagli delle nuove normative europee per i requisiti di capitale, che partiranno a gennaio 2016.

Ma si tratta in ogni caso di una simulazione significativa e, quando il group ceo Mario Greco ha reso noto al mercato che l’economic Solvency diGenerali è sceso dal 184% del 2013 al 151% di dicembre scorso, con un taglio di 33 punti percentuali, le domande degli analisti sulle ragioni di tale calo si sono fatte insistenti. Il fatto che, in particolare, il basso livello dei tassi d’interesse abbia provocato la forte contrazione, come spiegato dal cfo Alberto Minali, ha iniziato a far nascere interrogativi sul mercato. «È un tema che riguarda indubbiamente l’intero settore assicurativo», osserva Paolo Gualtieri, docente di Economia dei mercati e degli intermediari finanziari all’università Cattolica, «con i tassi ai minimi le compagnie fanno fatica a trovare investimenti con buoni rendimenti a copertura degli impegni assunti con gli assicurati e ciò fa diminuire la capacità di assorbire i rischi e fa scendere l’indice Solvency II». Il problema riguarda in particolare le vecchie polizze Vita che garantiscono ai clienti rendimenti elevati, specie nel caso in cui non ci siano attivi a copertura di uguale scadenza.

Per Generali l’effetto penalizzazione sembra però più importante rispetto a quello subito dagli altri colossi assicurativi europei, benché il gruppo triestino quest’anno abbia raggiunto con un anno di anticipo l’obiettivo di un Solvency I al 160% (a dicembre l’indice era del 162%). In Allianz, per esempio, la capitalizzazione Solvency II, secondo i dati comunicati dal gruppo, è calata solo di 3 punti percentuali, dal 194% al 191%, attestandosi tra l’altro a valori più elevati rispetto al Leone. Mentre nella francese Axa la riduzione dell’economic Solvency è stata di 5 punti percentuali, dal 206 al 201%, anche il questo caso con valori di disponibilità patrimoniale decisamente elevati, pari a 54,4 miliardi rispetto ai 27,1 miliardi richiesti come minimo dalla nuova normativa. Le incognite da chiare, come detto, restano ancora tante e proprio in questi giorni al Senato e alla Camera sono aperte le audizioni per il recepimento in Italia della normativa. Generali, che ha scelto un modello interno di valutazione del rischio, è stata la prima compagnia italiana ad alzare il velo sulle stime di Solvency II, mentre tutte le altre imprese hanno finora mantenuto il riserbo. Ma ormai l’esame si avvicina. A breve le assicurazioni che hanno optato per la formula standard (quella prevista di default dalla normativa) con correzioni dovranno comunicare la loro scelta all’Ivass, l’autorità di controllo del settore guidata da Salvatore Rossi. E in ogni caso a giugno dovrà essere messo a punto da tutte le imprese il secondo esame Orsa (Own Risk and Solvency Assessment). In pratica, dovranno simulare l’avvio di Solvency II con un passaggio della documentazione in consiglio di amministrazione.

Le compagnie sono in piena attività per allinearsi in temo alle nuova normativa. Dopo tante discussioni e molti rinvii si inizia quindi a fare sul serio, ma già nascono i primi interrogativi, come dimostra la questione dei tassi nel caso diGenerali, che riguarda in particolare le attività tedesche del Leone. L’ultimo stress test effettuato dall’Ivass alla fine dello scorso anno, che prevedeva anche uno scenario di bassi tassi s’interesse, aveva evidenziato imprese italiane più stabili rispetto ai concorrenti europei. Specie rispetto ai gruppi tedeschi, alle prese con tassi d’interesse negativi. Ma c’era comunque un 20% delle imprese italiane che, con bassi tassi, avrebbe avuto bisogno di aumentare il capitale e per di più l’attuale curva dei tassi prevista da Solvency II è più bassa dello scenario di stress test di fine 2014. «Per le imprese non è facile trovare altri investimenti redditizi alternativi ai titoli di Stato», conclude Gualtieri, «anche perché Solvency II richiede più capitale per azioni e bond corporate». (riproduzione riservata)