di Anna Messia

Con i tassi d’interesse ai minimi le compagnie di assicurazione sono sempre più alla ricerca di rendimenti interessanti rispetto agli ormai magri guadagni dei titoli governativi. Strumenti che possano essere in grado di coprire meglio gli impegni presi nei confronti degli assicurati, con l’Ivass in pressing, specie con l’ormai imminente arrivo delle nuove regole patrimoniali di Solvency II (operativa dal 1° gennaio 2016).

Forti dei loro 560 miliardi di euro di asset in gestione in Italia, che lievitano a 8.500 miliardi se si volge lo sguardo all’intera Europa, le assicurazioni sono già state chiamate a svolgere un ruolo centrale nel piano Juncker, che ha l’obiettivo di mobilitare 315 miliardi di euro in tre anni in tutta l’Ue, per rilanciare gli investimenti. Sul progetto europeo ci sono però ancora tante incognite da chiarire, come emerso nell’audizione alla Camera del 25 marzo scorso del direttore generale dell’Ania, Dario Focarelli. Non per questo le imprese sono rimaste inerte, spinte anzi dalla necessità di investire i tanti capitali raccolti in un anno di crescita boom del settore Vita, con il 2014 chiuso con oltre 90 miliardi di nuova produzione.

Così, più di qualche compagnia di assicurazioni italiana ha già iniziato a muoversi esplorando nuovi orizzonti e guardando in particolare al comparto dei fondi che investono in piccole e medie imprese. Nel mirino di compagnie come Eurovita (partecipata da fondo Jc Flowers) oltre che di colossi con Poste Vita e Intesa Vita, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, sarebbero finiti più in dettaglio alcuni dei fondi già selezionati dal Fondo Italiano d’Investimento, guidato da Gabriele Cappellini, e che in cinque anni di attività ha raggiunto un’indubbia expertise nel settore, investendo direttamente in pmi, oltre che in fondi. Del resto tra le difficoltà del piano Juncker segnalate da Focarelli al Parlamento c’era proprio quella di selezionare investimenti adatti alle imprese assicurative. «Ad oggi sono stati individuati 2 mila progetti in tutto il Continente per un valore complessivo potenziale attorno a 1.300 miliardi», aveva dichiarato il direttore generale Ania, aggiungendo però che «non sono chiari i criteri in base a cui è stata effettuata la selezione», oltre al fatto che molti dei progetti la cui realizzabilità è prevista nel prossimo triennio, per un valore di circa 500 miliardi, sono attualmente bloccati da ostacoli finanziari o regolamentari». Al punto che «molti dei criteri utilizzati» per definire i progetti del piano Juncker «non sono coerenti con quelli del settore», concludeva Focarelli. A differenza di alcuni dei fondi scelti dal Fondo italiano d’investimento le compagnie avrebbero invece flussi di cassa prevedibili oltre che duration allineate con le passività del settore assicurativo. Nel mirino delle imprese assicurative sarebbe finito, in particolare, l’ultimo pacchetto di investimenti deliberato a fine gennaio dal Fondo italiano, per un importo complessivo di 250 milioni indirizzati verso dieci strumenti di private debt: come l’Equita private debt fund, gestito da Lemanik ed Equita, o l’Italian private debt di Muzinich, o ancora l’Italian hybrid capital fund di River Rock. (riproduzione riservata)