L’accertamento in termini percentuali del concorso di colpa della vittima nella causazione del danno costituisce il frutto di un procedimento logico e non matematico, e, come tale, insuscettibile di giustificazione analitica.

Ne consegue che colui il quale si dolga del relativo accertamento compiuto dal giudice di merito non può limitarsi a invocare che la corresponsabilità della vittima fosse in realtà maggiore o minore di quella accertata, ma ha l’onere di dedurre il vizio di motivazione, sotto forma di contraddittorietà tra l’espressione percentuale del concorso di colpa e le osservazioni logiche che la sorreggono.
La decisione della Corte territoriale – che ha risarcito, iure hereditatis, ai congiunti della deceduta a seguito del sinistro e dopo un brevissimo lasso temporale dallo stesso, il danno morale dalla medesima vittima sofferto (per la lucida agonia) e la somma di Euro 80,00 a titolo di danno biologico, come frazione estremamente ridotta consistente nel suo concreto avverarsi – è in linea con l’orientamento tuttora maggioritario, secondo il quale, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando all’estrema gravità delle lesioni, segua, dopo un intervallo temporale brevissimo, la morte, non può essere risarcito agli eredi il danno biologico terminale connesso alla perdita della vita della vittima, come massima espressione del bene salute, ma esclusivamente il danno morale, dal primo ontologicamente distinto, fondato sull’intensa sofferenza d’animo conseguente alla consapevolezza delle condizioni cliniche seguite al sinistro.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, 5 dicembre 2014, n. 25731