Le prestazioni di coassicurazione rientrano nel campo di esenzione dall’imposta sul valore aggiunto; dunque, quando due o più società di assicurazione stipulano un contratto di coassicurazione, mediante il quale l’impresa titolare del rapporto con l’assicurato ripartisce il rischio con altre imprese operanti nello stesso settore, a tale prestazione deve riconoscersi lo stesso regime fiscale di esenzione Iva, previsto dall’articolo 10 del dpr 633/1973. Questo è il principio che si legge nella sentenza n. 6683/29/2014 della Ctr della Lombardia, depositata in data 15 dicembre 2014 nella segreteria meneghina. Determinante, ai fini della decisione, l’esistenza, nei contratti di coassicurazione, della c.d. «clausola di delega», in forza della quale l’impresa delegata alla condivisione del rischio subentra nella gestione dei rapporti con gli assicurati, in qualità di mandataria, pur nei limiti della quota di rischio stabilita nel contratto. I giudici d’appello, aditi dall’Agenzia delle entrate, hanno confermato la decisione già raggiunta dai colleghi della provinciale, che aveva disposto l’annullamento di un avviso di accertamento Iva relativo all’anno 2004. Il giudizio di primo grado era stato incardinato da una nota società di assicurazioni, con sede a Milano. La Ctr ha anche condannato l’amministrazione finanziaria al pagamento delle spese per i due gradi di giudizio, da corrispondersi in favore dell’impresa assicurativa

Nicola Fuoco

L’Agenzia delle entrate appellava una sentenza della Ctp di Milano, che aveva stabilito l’esenzione dall’Iva per i rapporti di coassicurazione intrattenuti tra la società ricorrente e altre imprese operanti nel medesimo settore assicurativo. Secondo la tesi dell’amministrazione finanziaria, tali operazioni non riguardano prestazioni svolte nei confronti degli assicurati, né tantomeno possono considerarsi accessorie alle stesse; ragion per cui, dovevano necessariamente essere assoggettate all’imposta sul valore aggiunto.

Con il contratto di coassicurazione, l’impresa titolare del rapporto principale con l’assicurato decide di condividere con altre imprese dello stesso settore una quota o una parte del rischio assunto. Tale forma negoziale viene solitamente utilizzata quando si tratta di rischi con un’alta probabilità che si verifichi il sinistro, oppure, in caso di interessi di alto valore economico, a causa della cui entità ben difficilmente un solo assicuratore potrebbe assumersi da solo l’intero carico. Con tale istituto si realizza una ripartizione del rischio tra diversi assicuratori, secondo quote predeterminate, in modo tale che ciascuno di essi risponda solamente della quota personalmente assunta.

Si tratta, dunque, di prestazioni concordate tra le diverse imprese assicurative coinvolte, dacché, a parere dell’Agenzia delle entrate, non sarebbe applicabile il regime di esenzione Iva ex articolo 10 del dpr 633/1972. La posizione, tuttavia, è stata smentita dai giudici tributari aditi, prima dalla commissione provinciale e poi da quella regionale, nella sentenza in commento. In particolare, la Ctr Lombardia ha ritenuto fondamentale esaminare il significato della «clausola di delega» inserita nei contratti da cui era scaturita la ripresa fiscale. Con detta clausola, «un’impresa viene delegata alla gestione dei rapporti con gli assicurati, sia nella vita normale, sia nell’ipotesi che, verificatosi il sinistro per il cui rischio il contratto è stato concluso, venga richiesto l’indennizzo ( ) e viene conferito all’assicuratore delegatario un mandato con rappresentanza che lo abilita a intrattenere i normali rapporti con l’assicurato oltre che, eventualmente, a resistere in giudizio in rappresentanza delle imprese deleganti». Tale pattuizione testimonia, secondo i giudici tributari, l’esistenza di un rapporto diretto tra le imprese coassicuratrici e il cliente finale (l’assicurato), giustificando l’inclusione delle prestazioni nel regime di esenzione dall’Iva. Infatti, «la società delegataria non svolge semplicemente una prestazione nell’interesse delle altre imprese di assicurazione, ma è essa stessa assicuratrice, così che l’attività che gestisce è da qualificarsi una vera e propria attività assicurativa, dal momento che ne assume il rischio e susssistono gli altri requisiti richiesti perché possa essere considerata tale ai sensi dell’art. 1882 c.c.». La sentenza si conclude, pertanto, con il rigetto dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, condannata al pagamento delle spese per entrambi i gradi di giudizio