di Mauro Romano

Gli elevati costi di compliance e di reporting verso le autorità rappresentano uno dei principali ostacoli allo sviluppo dell’attività degli intermediari professionali, broker e agenti di assicurazioni. A sostenerlo è stato ieri Carlo Marietti Andreani, presidente di Aiba, l’associazione Italiana Brokers di Assicurazioni e riassicurazioni, durante un convegno dall’associazione a Roma. Secondo una recente ricerca internazionale sono in verità i broker del Regno Unito a dover sostenere i più elevati costi diretti da regolamentazione (0,98% del totale di commissioni e fee). Seguono gli intermediari di Lussemburgo (0,47%), Finlandia (0,27%), Olanda (0,26%), Irlanda (0,22%), Portogallo (0,07%), Svizzera e Italia (0,03%), Francia (0,02%) e Germania (0%). Per quanto attiene l’Italia, tuttavia, secondo l’Aiba il dato è sottostimato perché non tiene conto dei costi relativi alla copertura di Rc professionale obbligatoria, cui si aggiungono i costi di contribuzione al fondo di garanzia dei mediatori.

«Nel caso di un broker con un giro d’affari di 5 milioni di euro», ha spiegato Marietti, «avremmo 1.500 euro di costi fissi e diretti di compliance a cui si aggiungono circa 5.000 euro tra copertura di Rc professionale obbligatoria e contributo al Fondo di Garanzia dei mediatori, per un totale di 6.500 euro». Con queste spese «la percentuale dei costi diretti dunque sale oltre l’1%», ha dichiarato il presidente Aiba, «un peso difficilmente sostenibile soprattutto per i piccoli broker, già sotto pressione per il continuo calo di redditività». Per alleggerire questo fardello dall’Aiba chiedono un riequilibrio tra costi della regolamentazione e norme per la tutela dei consumatori.

Durante il convegno è stato presentato anche uno studio commissionato al Centro Studi Casmef dell’Università Luiss di Roma da cui risulta che gli intermediari professionali (agenti e broker) concorrono per una parte rilevante al valore aggiunto creato dal mercato assicurativo. Anche in questo caso con un confronto europeo. In termini di pil il contributo degli intermediari britannici è pari all’1,07%, i francesi incidono per l’1% mentre l’apporto degli intermediari olandesi e italiani è pari allo 0,90% del prodotto interno lordo, un valore superiore alla media europea pari allo 0,80%.

Secondo lo studio il Regno Unito e l’Olanda presentano poi il più alto valore del rapporto tra totale dei premi lordi e pil nazionale (12,2% nel 2013), mentre l’Italia (7,6% nel 2013), e in misura minore la Francia, sono gli unici a mostrare una crescita nel biennio 2012-2013, trainata dal ramo Vita. (riproduzione riservata)